Minime londinesi

pubblicato da Giulia lunedì, Settembre 10, 2007 11:32
Aggiunto alla categoria Sono fatti miei, Viva la gente

Metodo
Non prendo appunti, non faccio foto, guardo tutto, mi soffermo su dettagli insignificanti: le braccia coperte di cicatrici da taglio di un ragazzone ubriaco sulla metro, il claddagh rovesciato sull’anulare destro di una signora, le kippà dei residenti di Golders Green. Sarei una pessima reporter, ma Dio quanto mi piace la gente.

Meteo
Nel 2002 era luglio e pioveva sempre; Damir aveva la giacchina impermeabile, io avevo freddo. Nel 2007 è settembre, e con una maglietta di cotone a maniche lunghe io sudo. Al Gore ha ragione.

Tube
So leggere il piano della metro londinese. Non ridete, cinque anni fa non distinguevo northbound e southbound da eastbound e westbound. Sarei finita sempre sul treno sbagliato. Continuo a non avere un gran senso dell’orientamento, ma mi bastano pochi secondi per trovare un’alternativa alla Victoria Line per raggiungere Stockwell da Notting Hill, essendo la Victoria Line ferma. Sono molto orgogliosa di me.

La catena di Gesù e Maria, Evan Dando, The Horrors, non in quell’ordine
Non che possa dire molto più di quanto ha detto Valido, peraltro fregandomi anche la scoperta della straordinaria somiglianza di William Reid con Pedro Almodòvar. E non vorrei bruciare Emiliano sul suo terreno, visto che anche lui credo stia per postare ha postato un resoconto della gita londinese. Per cui dico solo che una volta di più ho pensato, nell’ordine, le seguenti cose:
1. Non ho più l’età per i concerti in piedi con due gruppi spalla e il pogo intorno: me ne dovrò fare una ragione
2. Wheeeeeeee whooooooo grandiiiiiiii!

Quarantenni
Io non so se fosse per via del fatto che il gruppo era un po’ passé, roba per ultratrentenni come minimo, ma non avevo mai visto tanti uomini brizzolati pogare in maniera così entusiasta, e poi andarsene allegramente glassati di sudore.

Così mi piace
Inizio concerto: 19.30, con gli Horrors. Fine concerto: 22.30. Chiusura metropolitana: 00.30. Fino a chiusura, treni regolari ogni due minuti. Dalla chiusura, night bus da ovunque per ovunque. Tempo di percorrenza medio per attraversare mezza città: 30 minuti. Ché se uno vuole andare a vedersi un concerto a mezza settimana non deve per forza avere l’incubo di non riuscire a rincasare prima delle due di mattina.

Ooooh guarda, funziona!
C’è stato uno sciopero, parecchi malfunzionamenti, qualche linea interrotta. A un certo punto si rompono contemporaneamente la Victoria e la Northern Line. Per una mezz’oretta circa, la metro di Londra sembra quella di Roma: affollata e malfunzionante. Poi tutto torna normale. La metro di Roma, invece, è sempre uguale.

City
Camminare nella City di sabato dà l’impressione di essere piombati nel mezzo di un film catastrofico. Di quelli in cui è arrivato il virus mortale che ha sterminato la popolazione. Negozi chiusi, nessuno per strada. Nella City non si vive, nella City si lavora: e siccome di sabato non si lavora, anche chi nella City vende cose alla gente che lavora, di sabato chiude.

Interessi con i baffi
Nel mezzo della City c’è la statua di un gatto. E nel questionario di soddisfazione del cliente distribuito da National Express, alla voce “Interessi” c’è “Cats”. Vorrà pur dire qualcosa.

Tecnologia e progresso
Gli inglesi fanno un sacco di cose molto bene (vedi sopra), ma gli unici posti dove sul lavandino ho trovato un miscelatore, invece che il rubinetto dell’acqua calda e quello dell’acqua fredda separati e bassissimi che non riesci a sciacquarti i denti, sono i bagni di Starbucks.

Food for thought
Non è vero che in Inghilterra si mangia male. E’ invero possibile sfondarsi di fast food più o meno fritto, come del resto qui in Italia e da ben prima che arrivassero i kebabbari; ché gli arancini e i supplì e i filetti di baccalà mica li hanno inventati i turchi. In Inghilterra, in realtà, si mangia benissimo, seppure a prezzi agghiaccianti. Anzi: gli inglesi hanno un vero e proprio culto del cibo e della cucina. Lo testimoniano i giganteschi poster col faccione da quarantenne tenebroso di Marco Pierre White, le vetrine delle librerie ove troneggia l’ultimo ricettario di Nigella Lawson (circondato da quelli del suddetto White e di Jamie Oliver: un’intera vetrina di ricettari, immaginatevelo alla Feltrinelli), e questa faccenda, che nel fare un po’ ridere dimostra che i ragazzini sono uguali dappertutto.

My people
Li lascio in fondo perché l’ultimo boccone è il più dolce. Matteo, Marta, Emmanuele, Anto, Harrie. Non metto link ai blog perché quando ci si vede in faccia, e si mangia, e si cammina, e si ride, i link non hanno senso. E soprattutto nel caso di chi ti conosce da quasi metà della tua vita, ritrovarsi è come ritrovare se stessi, e vedersi riconsegnare con un sorriso una parte di sé che si credeva smarrita per sempre.

Piccies
Here. (Mi assumo la piena responsabilità di alcune didascalie.)

Commenti e ping chiusi.

Un commento to “Minime londinesi”

  1. » Non ci siamo capiti says:

    Settembre 21st, 2007 at 2:31

    […] E giustamente, anzi: Panorama, nel suo piccolo, ha dimostrato per questo blog un’attenzione ben maggiore rispetto a Metro (o City, non si capisce: la notizia mi è arrivata di seconda mano, e ogni fonte citava una testata diversa) che, per motivi imperscrutabili, ha parlato di questo blog attribuendone la proprietà a una persona che vive a Londra ed è esperta di usi e costumi anglosassoni. Ora, nello specifico ci sarebbe solo da ridere. Se arrivi sul mio blog, leggi solo l’ultimo post e in base a quello ti costruisci in testa la mia intera biografia (peraltro ignorando quanto, nel post stesso, avrebbe dovuto suggerirti che io non vivo a Londra, ero in gita a Londra), va bene. Nessuno pretende che questo blog venga preso sul serio. Ma riportare le tue fantasie su un giornale letto da milioni di persone, persone che poi mi commentano o mi scrivono – e quindi perdono del tempo prezioso – per domandarmi consigli su cose di cui sono del tutto ignorante, è un atto di superficialità tremenda. Non per me, che anche sticazzi. Ma per loro. Per quelli che ti hanno letto, e che adesso – come minimo – pensano che tu, redattore o giornalista del free press in questione, renda loro un ben povero servizio. […]