(Non) fate come me

pubblicato da Giulia martedì, Settembre 25, 2007 14:10
Aggiunto alla categoria Spot, Triste mondo malato
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Non credo di fare affermazioni esagerate o nuove quando dico che è da un pezzo che le campagne pubblicitarie di Oliviero Toscani non mirano ad altro che a far parlare di quanto è trasgressivo Oliviero Toscani, e quindi non pubblicizzino altro che Toscani stesso.

Perdonatemi quindi se vedo della malafede nella campagna per Nolita, orchestrata da Toscani con l’obiettivo dichiarato di sbattere in faccia alla gente e alle anoressiche stesse la realtà dell’anoressia. Corpi distrutti dalla malattia, corpi piagati, deformati, corpi che divorano se stessi fino a scomparire. Parlo di malafede perché non voglio credere che né il committente né l’ideatore della campagna sappiano che per le anoressiche Isabelle Caro è un modello aspirazionale. Ci vuole un salto logico notevole, perché per la maggior parte di noi Isabelle Caro è l’immagine stessa dell’orrore, un essere umano che si sta decomponendo da viva, una mummia con gli occhi spalancati e tettine avvizzite da vecchia. Non possiamo concepire che qualcuno possa voler diventare così: eppure le anoressiche la guardano e pensano, come avrà fatto? E io, a cosa posso ancora rinunciare per arrivare alla sua perfezione?

Il punto è che si continua a pensare all’anoressica come a una persona ossessionata dalla bellezza fisica. Quando la fissazione per le modelle emaciate è solo una fase nella discesa agli inferi. Un’anoressica non si fermerà una volta raggiunta la taglia 38 o 36, o qualsiasi altro supposto limite di perfezione. Un’anoressica sposterà il limite sempre più in là, tenterà sempre di perdere quel mezzo chilo in più. Il suo obiettivo non è essere bella. Il suo obiettivo è scomparire.

La fame, la sofferenza, la debolezza sono il carburante di cui si nutre questa malattia devastante. Ogni privazione è vissuta come un trionfo dello spirito sulla carne. Le anoressiche si sentono parte di un circolo di elette, esseri superiori per le quali la perfezione non consiste nel raggiungimento di una forma fisica, per quanto irreale, ma nel dissolvimento della carne, nel trionfo della mente sulla materia, sulla volgarità del cibo, della nutrizione, del sesso, della vita. Ridursi a scheletri ricoperti di pelle raggrinzita è contemporaneamente effetto collaterale e mezzo sicuro per elevarsi e ascendere. Il rovescio della medaglia è un odio segreto per se stesse, un desiderio di autodistruzione che non ha mai fine, la convinzione ultima che amare, vivere e mangiare siano privilegi destinati ad altre, più meritevoli.

Isabelle Caro non può non saperlo, questo. Eppure ha scelto di spogliarsi ugualmente, di esporsi ovunque, di scoprire la carcassa del suo corpo rovinato, forse nella speranza di salvare quelle che ancora non hanno un piede nel baratro. Voglio che sia così, spero che sia così: perché nel retro della mia testa pulsa il sospetto che questo possa essere un suo ultimo, disperato coup de theatre, la legittimazione ultima agli occhi delle sue pari, la rivendicazione della sua malattia, prima che questa finisca di succhiare la carne dalle sue ossa.

(Ne ha parlato anche Gaia Giordani, qui.)

Aggiornamento: sullo stesso argomento, anche Séverine, Robba.

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