Se faccio un post a punti è perché ho troppo da dire e troppo poco tempo per dirlo
pubblicato da Giulia martedì, Gennaio 2, 2007 13:42“Hi! I’m Betty Suarez”
Davide già la odia. Per me invece è la mania del momento, la fissa imprescindibile: Ugly Betty. Una serie che parte da un concept proppiano nella sua ovvietà: eroina brutta si fa strada in un ambiente superficiale con la sola forza delle sue capacità e del suo carattere.
Identificazione? Oh yes sir, indeed sir. E che ve lo dico a fare. Per quanto la natura non sia stata crudele con me come con Betty Suarez, la tarchiata, irsuta, apparecchiomunita assistente piazzata al fianco dello scapolone d’oro Daniel Meade per evitare che quest’ultimo le facesse fare la fine di tutte le precedenti, sedotte e abbandonate. Né mi abbia benedetta con altrettanta stabilità e buonsenso, a dirla tutta. Ma non è di me che si parla, qui.
È di Betty, anzi, della serie che le gira intorno.
Che sia un concept colombiano ricalcato in tutto il mondo era già cosa nota da tempo. Il rischio era che l’americanizzazione ne facesse un prodotto annacquato e banale: e invece, complice un cast meraviglioso (America Ferrera e Vanessa Williams in testa, ma Becki Newton, nei panni dell’insopportabile Amanda, guadagna punti ad ogni episodio) e una sceneggiatura che non si limita a tracciare i contorni di ogni personaggio, ma ne rivela progressivamente i dettagli, il risultato finale è simultaneamente spassoso, commovente e leggero.
Nessuno del personaggi è quello che sembra. A parte, forse, Betty; che pur nella sua prevedibilità non è mai noiosa. Si fa presto a volerle bene, e a desiderare per lei il meglio di tutto.
“Save the cheerleader, save the world”
Dai, dai, dai, ammettiamolo. Anche gli amori più travolgenti, alla lunga, si siedono su una confortante routine. Lost ha scatenato in me una passione pari solo a quella provata per X-Files e Buffy the Vampire Slayer, ma il canale, tentando di stuzzicare il mio appetito di amante, ha commesso un errore. E nella pausa fra una parte e l’altra della terza serie mi sono invaghita di Heroes, altrettanto bizzarro, stravagante e sconclusionato, ma assai più truculento, oscuro e disperato.
Il concept della serie, ridotto al minimo comune denominatore, è questo: un gruppo di persone, sparse in vari luoghi della Terra (quasi tutti in America, a dire la verità, con una sola eccezione) scoprono progressivamente di possedere poteri sovrannaturali. Claire, una cheerleader, può autorigenerarsi e subire le ferite più gravi senza riportare la minima conseguenza; Peter, giovane e malinconico infermiere, pensa di saper volare; Hiro, impiegato giapponese patito di fumetti, sa piegare lo spazio e il tempo; Nicky, madre single di un ragazzino prodigio e spogliarellista per necessità, sembra nascondere una doppia personalità assassina; Matt, poliziotto con aspirazioni da detective, legge il pensiero; e Isaac, pittore eroinomane, dipinge il futuro con precisione fotografica. A legarli tra loro, la scoperta di un genetista indiano, recentemente defunto in circostanze misteriose, il cui figlio è determinato a seguire le orme del padre; un oscuro serial killer, che scorrazza per l’America asportando i cervelli dei supereroi per caso; e l’incombente minaccia della fine del mondo, che solo i nostri eroi possono evitare (e alla puntata numero undici di venti, ancora non si è capito come).
Facile? Non scherziamo. Heroes è un complicato arabesco di trame, sotterfugi, doppi e tripli giochi, padri che sanno troppo, microcosmi in azione, storie di vite complicate da una realtà in cui i superpoteri sono inutili quando non proprio pericolosi, sogni, visioni, terrore e solitudine. Il tutto girato con uno stile da graphic novel che non ha la mano pesante di Sin City o l’immaginario rétro e gommoso di Spider-Man, ma si nutre di piccoli tocchi.
Nessuno si aspetta la classifica di fine anno
Due ragioni fondamentali per non fare il post riepilogativo dei dischi dell’anno: qualcuno di molto vicino a me ne ha fatto un’opera monumentale, non ho pazienza e sto ancora ascoltando il disco dei Go! Team… OK, tre motivi fondamentali per non fare il post riepilogativo dei dischi dell’anno: qualcuno di molto vicino a me ne ha fatto un’opera monumentale, non ho pazienza, sto ancora ascoltando il disco dei Go! Team e il disco dell’anno è un album neanche troppo bello dei Flaming Lips… uff, quattro motivi fondamentali… niente, esco e rientro.
Cinque pezzi difficilissimi
Arrivo, eh: ci devo pensare un po’.
Turn on, autotune in, drop out
Aaaanche questa sera, ledisengentolmen, Autotune va in onda dalle solite frequenze (95,3 se vi trovate in provincia di Frosinone o Sora, o cliccando qui se vi trovate in qualsiasi altra parte dell’universo mondo provvista di connessione). La puntata di questa sera sarà scaricabile domani qui. Inutile dire che, essendo ormai il 2007, i nostri eroi si lanceranno in ardite profezie. Per l’amore, il lavoro e la salute tutto bene, ma forse è meglio leggersi Rob Breszny, ecco, mi sembra più affidabile. Per la nuova musica, invece, Autotune può aiutarvi di sicuro.
Sappiate comunque che questa sera, dalle parti dello studio, ci sarò anche io.
Potrebbe succedere di tutto.
Dalle 22.00 alle 24.00, siateci.