pubblicato da Giulia giovedì, Settembre 4, 2003 12:39
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La riscossa dei timidi

Telefonata-fiume di due ore con Damir. Avevamo degli arretrati di speculazione filosofica (hello brother, lo so che stai leggendo: in questo modo mi levo l’ansia da prestazione, ti cito direttamente e lusingo il tuo ego, così non ti accorgi che anche oggi non ho un cazzo da dire e forse neanche gli al… ops).
A un tal punto ci si mette a parlare di timidezza.

“Io i timidi non li sopporto.”
“Perché?”
“Perché bisogna fare uno sforzo. Non sopporto quelli che non parlano con gli altri perché ‘sono timidi’. Questione di elementare cortesia. Dopotutto, dai, noi lo sforzo l’abbiamo fatto.”
“Sì, ho capito, ma calcola che siamo cresciuti in un ambiente ostile. Se non mi fossi tirata fuori dalla timidezza, probabilmente non sarei sopravvissuta.”
“Idem. Ma allora, perché altra gente no?”
“Perché probabilmente hanno avuto la fortuna di crescere in un ambiente amorevole, circondati da persone che li accettavano e li apprezzavano, e non in quella specie di giungla…”
“Non è giusto.”
“La tua è invidia.”

Diobono, è vero.
Non che io non sopporti i timidi. Non sopporto gli antipatici contrabbandati dagli amici come timidi – e mi viene in mente un amico del mio ex, che parlava solo a grugniti: “È un timido” diceva Martin. “È un troglodita”, dicevo io  – perché sono stata una timida, la mia migliore amica è fondamentalmente timida, e riconosco al primo colpo anche i timidi riformati (Bugo, per dirne uno famoso, perché non me ne vengono in mente di non famosi. Gli ex timidi diventano spesso famosi, chissà quando tocca a me?) Ovviamente invidio i non timidi, perché timidi si resta tutta la vita. La modifica del comportamento sociale non corrisponde a una rivoluzione dell’emotività, si rimane timidi ma si impara a non mostrarsi tali. Il timido riformato può essere del tipo “lumachina” (vale a dire, pronto a rientrare nella sua casina di silenzio e contemplazione in presenza di un eccesso di pubblico) o del tipo “clamidosauro”, vale a dire quelli che, come il piccolo rettile australiano, se sono in presenza di più persone, soprattutto sconosciute, fanno un gran casino per nascondere il terrore di non risultare graditi. 

“È il mio problema, più gente ho intorno, più aumentano i miei decibel.”
“Beh, questa può non essere una cosa brutta.”
“Lo è. Poi mi sento una merda. Intrattengo tutti e faccio la buffona, poi vado a casa e mi chiedo perché, perché non riesco a stare zitta? Perché devo chiacchierare incessantemente e fare cabaret? Non potrei stare semplicemente lì ed esistere?”

Che poi il problema è che si creano delle aspettative. Per cui capitano anche le volte che non ho nessuna voglia di parlare, non perché sto male o cosa, ma solo perché ho voglia di stare zitta. Di pensare ai cavoli miei o semplicemente di ascoltare gli altri. E allora la gente si preoccupa. “Ma stai bene?” “Sì, sto benissimo.” “Mi sembri triste.” “Non sono triste.” “Vabbè, dai tirati su.” “Ma non sono triste!”

Sì, sì, invidio i timidi che sono rimasti tali, perché probabilmente sono stati molto amati: dalla famiglia, dagli amici, dai compagni di scuola.
Invidio i sicuri di sé, quelli veri, quelli con lo scudo protettivo intorno, anche se ne conosco pochi e spesso non sono persone gradevolissime, perché tendono ad approfittare delle debolezze altrui.
Ammiro i timidi riformati che sembrano semplicemente usciti da se stessi, e che navigano fluidi, senza gli strappi e le stridulezze e i martellamenti nelle palle di cui mi rendo protagonista io ogni volta che mi viene data un’occasione, ogni volta che potrei afferrare qualcosa, prendermela senza sforzo, e invece ci devo fare intorno i miei soliti numeri, le mie danze propiziatorie e le mie battute goffe. Solo perché non credo di meritarmela veramente.

Della cosa interessante che dovevo fare vi parlerò un’altra volta. Uno, perché ho sonno. Due, perché ne manca ancora un pezzettino.

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  1. @eulerCM says:

    Novembre 14th, 2011 at 5:06

    Giulia_B stai per sconfinare nello spam… titofaraci