La terra sotto i piedi

pubblicato da Giulia martedì, Ottobre 12, 2010 9:11
Aggiunto alla categoria Triste mondo malato, Una che scrive

“I mulini a vento! I mulini a vento!”

Sto con la faccia contro il finestrino della piccola utilitaria di Speranza Serra, l’organizzatrice del festival che si è incaricata di portarci da Castelsardo a Perfugas, e guardo fuori. Ho la bocca aperta nel sorriso enorme da bambina che mi spunta sulla faccia quando vedo qualcosa di nuovo che mi piace molto: le pale eoliche sono sempre più vicine a ogni giro della collina.

In realtà ci siamo persi, abbiamo fatto il giro di Peppe sbagliando un bivio e siamo in ritardo. Il che ha dato a tutti e quattro – Speranza, Marcello Fois che è l’autore invitato all’incontro a cui siamo diretti, Emiliano e io imbucati sul sedile posteriore – l’opportunità di fare una scampagnata non prevista fra i tornanti della provincia di Sassari. I mulini a vento non erano in programma, ed eccomeli davanti. Ci ho scritto un intero libro intorno, e non ne avevo mai visto uno da vicino. E quindi non sapevo neanche quello che mi sta spiegando Marcello adesso: che i mulini a vento uccidono tutto quello che hanno intorno.

“Prosciugano il terreno. Guarda. Sotto le pale non cresce più niente.” L’erba è marrone, secca, una distesa di stoppie. Il vortice creato dalle pale rende sterile la terra: la vegetazione ricresce pochi metri più in là, ma lì dove si produce energia pulita la natura muore: è un paradosso irrisolvibile. Bisognerebbe mettere le pale solo in zone desertiche, ma in Italia di deserto non ce n’è, e comunque queste pale eoliche che ruotano eleganti sotto i miei occhi sono il risultato di maneggi ben poco chiari. Già qualcuna è ferma, andrebbe riparata ma chissà se verrà fatto.

La Sardegna è anche questo. L’Italia è anche questo. Arriviamo a scuola, Marcello fra le altre cose domanda: “Quanti degli studenti di Agraria lavoreranno in campagna?” Alza la mano solo uno. Un altro non la alza, lo dice il suo insegnante che andrà a lavorare nell’agriturismo di famiglia, e lui fa un gesto mezzo di sfida mezzo di giustificazione: embè, sì, che volete da me? Vado a fare il pastore. Gli altri dicono che non sanno cosa faranno. Sarebbe facile dare tutta la colpa a loro, ma un ragazzino di diciassette, diciotto anni non può essere responsabile di danni che lo precedono. Forse non vota ancora, forse non ha mai votato. Non è colpevole della miopia con cui tutto viene gestito, dalla scuola all’economia, dall’agricoltura al mercato del lavoro, fino a quelle pale eoliche che girano contro il cielo azzurrissimo e uccidono ogni cosa.

Noi non sapevamo, dieci anni fa, vent’anni fa, che il mercato del lavoro “flessibile” ci avrebbe privati della pensione. Lo sappiamo oggi. E non sappiamo che fare, se non continuare a lavorare e riporre le nostre speranze nelle case di famiglia, nei piani di accumulo di capitali, nel culo. I ragazzi di oggi non sanno a cosa vanno incontro. Ma la sensazione che il terreno sotto i loro piedi stia diventando sterile, quella ce l’hanno già.

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Un commento to “La terra sotto i piedi”

  1. Giulio says:

    Ottobre 12th, 2010 at 5:50

    Premesso che ho molta più fiducia nell’energia solare che in quella eolica (e non solo in termini di impatto ambientale), mi sembra un pò esagerato parlare delle pale eoliche come strumenti che “uccidono tutto quello che hanno intorno”. 
    Vivo in Danimarca e qui le installazioni eoliche sono a mare: infatti, citando letteralmente wikipedia,
    “Sulla terraferma, i luoghi più ventosi e quindi più adatti alle installazioni eoliche sono generalmente le cime, i crinali di colline e montagne o le coste”
    Si pongono problemi estetici, non c’è dubbio: tuttavia “le installazioni eoliche sono totalmente reversibili (bassi costi di smantellamento, completo ripristino delle condizioni ambientali preesistenti e assenza di alterazioni permanenti del paesaggio), diversamente da altre tipologie di centrali elettriche come termoelettrico, nucleare e idroelettrico, il cui impatto ambientale, sia estetico che ecologico, è di fatto irreversibile sia per gli alti costi (dighe, impianti nucleari) che per i tempi lunghi (scorie radioattive)”
    Detto questo, esprimo il mio sconcerto per quello che sta accadendo ai precari, alla politica collusa con il malaffare e, ahimè, al futuro lavorativo di noi giovani, sempre più lontano, sempre più incerto.