Il bello delle donne
pubblicato da Giulia domenica, Novembre 18, 2007 19:44“Ho creato un mostro”, dice Roberta, del suo libro Manicure Corner. Me lo dice il giorno in cui andiamo insieme a presentarlo alla sua comunità natale, quella di Procida, in una sala consiliare strapiena di gente, solo posti in piedi e un dibattitone vivacissimo che non finisce più.
Scrivendo questo libro, Roberta Scotto Galletta dice anche di essersi divertita un mondo. Per realizzarlo, ha applicato una sorta di Metodo Stanislavskij: si è documentata sulla teoria e la pratica della bellezza femminile, vi si è immersa, l’ha studiata e utilizzata su se stessa, e solo dopo una lunga osservazione ha cominciato la stesura della sua storia. Il risultato è un ritratto agghiacciante dell’immensa carta moschicida su cui si agitano le donne, un trappolone mortale che promette gratificazione e sicurezza solo attraverso la beautification forzata. Una taglia 46 infelice può essere una taglia 46 felice solo cambiando vestiti; dimagrire dà soddisfazione perché permette di indossare una gamma più vasta di abiti; “fare pace con lo specchio” è l’unico modo per uscire a testa alta nel mondo; la felicità è applicare perline sulle unghie finte. Persino la cultura, in Manicure Corner (e per estensione, nella vita di molte donne) è poco più che un mezzo per fare buona conversazione: al salone “Parole e Bellezza”, le “parole” sono quelle dei classici ottocenteschi che le clienti leggono allo scopo di perfezionarsi nella propria funzione di graziosissimi animali da salotto.
Per chiunque si sia posta una o due domande sulla necessità della seduzione perpetua, Manicure Corner è una lettura fisicamente dolorosa. Scritto in una lingua ellittica, dove le frasi si chiudono spesso con una congiunzione (lasciando ai personaggi, e al lettore, il compito di completarle e realizzare appieno il proprio grado di appartenenza a un sistema che non richiede troppe spiegazioni), ricco di minuziose descrizioni su procedure di chirurgia plastica, ricostruzione unghie, selezione di biancheria intima appropriata e abiti di taglio azzeccato, il romanzo incornicia una comunità-gineceo incapace di o impossibilitata ad affrancarsi da tradizioni millenarie, che le indirizzano inevitabilmente su un binario di matrimonio e maternità obbligatori, in cui l’amore non è splendida rivelazione del sé tramite l’altro, ma completamento dell’ensemble con cui apparire in società, effettuato con la collaborazione di uomini-borsetta dall’impatto emotivo pressoché nullo. L’harem di Manicure Corner è profondamente infelice, e frequenta il salone (o lo gestisce) nel tentativo di darsi un po’ di sollievo con l’adeguamento della propria immagine riflessa al canone introiettato di fascino muliebre. Lo specchio, per definizione, non è il nostro sguardo: è lo sguardo degli altri, è il mezzo attraverso cui controlliamo come verremo visti, o pensiamo di essere visti, e di conseguenza giudicati. Il gioco della bellezza (così divertente se praticato come tale) diventa disciplina, imposizione, necessità allo scopo di rendersi “migliori”, restando di fatto sempre uguali a se stessi.
Non c’è redenzione, in Manicure Corner: le sue protagoniste, prive anche solo di un nome di battesimo, si illudono di controllare la propria vita e se stesse applicando una minuziosa critica dell’aspetto fisico a se stesse e alle altre, e nel farlo si trattengono a vicenda nella trappola predisposta per impedire loro di vedere oltre, figurarsi un orizzonte e altri mondi da esplorare. La concentrazione di pensieri dedicati al proprio “stile”, che nella vita di una donna normale è diluita da preoccupazioni e attività di altro genere (quando non proprio assente), diventa quasi intollerabile nella narrazione della manicurista che osserva il fluire della storia. Con una tale fissazione nel cervello, sembra impossibile riuscire ad occuparsi di altro, studiare, laurearsi, affermarsi, entrare nel mondo grande: la cura di sé, a farla bene, è un’attività a tempo pieno.
Manicure Corner è questo: una raffigurazione precisissima e spietata di quello che ci tiene inchiodate a terra, dandoci contemporaneamente l’illusione del volo.