Il numero (fiction)

pubblicato da Giulia sabato, Novembre 10, 2007 17:44
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“Come va? E’ un po’ che non ci vediamo.”

Mica può non saperlo. Lo sanno tutti. La notizia è circolata prima ancora che lo sapesse lei: succede spesso così. Uno dei due butta giù un bicchiere di troppo, esce con gli amici, nel tavolo vicino c’è sempre qualcuno di Gawker o di OK o di People. Il giorno dopo, foto di repertorio e annuncio della rottura. Lei pensava avessero solo litigato.
Capita, di litigare.
Comunque, non può non saperlo, anzi, è ovvio che lo sa. Non le parlava praticamente da quando si era venuto a sapere del fidanzamento, poi tutte e due avevano smesso di sfilare per un po’, perché la pubblicità pagava meglio ed era meno faticosa. E non si erano più viste.
Adesso si trovano a dividere lo stesso backstage, a settimane di distanza dall’annuncio ufficiale, e chissà perché, le parla di nuovo. Sì, certo che lo sa, anche se dice di non leggere mai le pagine dei pettegolezzi.
Magari si saranno telefonati. Lui le avrà telefonato.

Si avvicina, posa a terra con nonchalance una Gucci da svariate migliaia di dollari (o euro: gira voce che non si faccia più pagare in dollari, sono carta straccia), si leva dal naso i giganteschi occhiali fumé affondando le stanghette fra i capelli, e le sorride. Le sorride proprio, diretta, in faccia.

“Stai bene, allora?”
“Sì. Tu?”
“Non male. Anzi.”
C’è una pausa di pochi secondi, in questa conversazione dove l’inglese è terreno neutro, gentile accoglienza per non madrelingua. Ci si possono dire cose terribili o fantastiche banalità riempitive. Il silenzio è l’unico suono inequivocabile.
“Non te la devi prendere a male. Io ci ho passato degli anni. E’… fatto così. Magari lo sapevi, anche.”
“Non me la sono presa a male, per niente. Sto benissimo.”
Scuote la testa. Lunghi capelli color miele, folti anche senza le extension. “Guarda che lo so. Anche a te ha fatto il trucco di proporti di sposarlo e poi rinviare il matrimonio di mese in mese?”
Altro silenzio. Affermativo.
“Non è la fine del mondo. Lui… ci colleziona.”
Una davanti all’altra sono praticamente speculari: stessa altezza, stesse proporzioni, stesse curve, colori simili. Due modelli diversi della stessa bambola. Il sorriso viene finalmente ricambiato.
Fruga nella Gucci, abbassandosi. Accidenti che tette. Quello che non voleva farla sfilare per via del naso, un pazzo. Quel naso è la ragione per cui lei è la più pagata al mondo, l’icona, il riferimento. L’imperiosità di quel naso rende il resto di lei un’agonia di bellezza.
Dalla Gucci escono un portafogli gonfio di carte di credito, un mazzo di chiavi, due mazzi di chiavi, tre mazzi di chiavi, un iPod rosa, e infine un’agenda. Dall’agenda esce un foglio. Sul foglio c’è un numero di cellulare, che le viene offerto con un sorriso e una strizzata d’occhi.

“Di chi è?”
“Lo sai.”
Silenzio.
“No, non mi interessa. Grazie.”
Risata. “Non ti interessa? Non ti interessa? Ma se quando stava con me lo mangiavi con gli occhi. Guarda che ti ho vista.”
“Non passo la vita a raccogliere i tuoi avanzi.”
Altra risata. “Honey, ti stupiresti di quante volte hai raccolto i miei avanzi senza saperlo. Pensi veramente che tutti sappiano con chi vado a letto? Avanti, prendilo.”
“E perché?”
“Perché gli piaci.”
“Come fai a saperlo?”
Sopracciglio alzato. “Lo conosco. Ci parlo. Lo sento. E soprattutto: guardati. E guardami.”
Il foglietto scompare dentro un pugno, accartocciato. Uno sguardo di sfida. “No, grazie.”
Fa spallucce. “Come vuoi. L’offerta è sempre valida.”
Si rialza, raccoglie la Gucci, fa un cenno con una mano e si avvia al trucco.

Il foglietto è ancora chiuso nel pugno. Lo scartoccia, lo stende, lo guarda.
La settimana prossima è a San Diego. Ci sono le gare di surf. Solo uno squillo, magari. Per dirsi ciao.

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