Perché niente cambi

pubblicato da Giulia sabato, Ottobre 20, 2007 9:19
Aggiunto alla categoria Triste mondo malato
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Da dove si comincia, per raffigurare questa straordinaria capacità italiana di parlare a vuoto e non fare nulla (nel migliore dei casi) o fare la prima cosa a casaccio che viene in mente (nei peggiori)? Partiamo da quello che ci riguarda più da vicino, come gente che tiene un blog e legge quelli degli altri, ovvero il Ddl editoria, che nella teoria dovrebbe obbligare qualsiasi blog a registrarsi presso il ROC, il registro degli operatori della comunicazione. Nella pratica, a sentire Pietro Folena, no: se uno usa il blog, inteso come piattaforma di pubblicazione e distribuzione dei contenuti, per realizzare un prodotto editoriale, allora si registra. Altrimenti, continua a fare il blog come l’ha sempre fatto. Il che avrebbe anche un suo senso: in Italia siamo ancora abituati a pensare al blog come a una roba privata, al massimo collettiva, ma pur sempre di cazzeggio. Mentre in America c’è già chi paga la gente per scrivere su un blog: Gawker è diventato Gawker Media, Nerve ha una serie di blog interni (il mio preferito è Scanner), e tutti hanno una redazione di persone regolarmente stipendiate.

Fino qui tutto bene, ma come al solito, essendo in Italia, il testo della legge è tutto meno che chiaro. La descrizione di “prodotto editoriale” si potrebbe applicare benissimo a qualsiasi blog:

Per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso.

Insomma, anche il qui presente, in virtù delle quattro volte che vi ha fatto ridere e delle tre che vi ha passato un link che vi interessava, sarebbe un prodotto editoriale. Però è un blog. Come la mettiamo, Folena? Mi devo iscrivere o no? Il buon senso direbbe di no, ma è con il buon senso che si applica una legge? Se è con il buon senso, che la fate a fare? Ah, ma siamo in Italia, dove le leggi sono decorative e ognuno fa un po’ come cazzo gli pare. E poi: un blog residente su un server all’estero (come Macchianera, ad esempio) si deve iscrivere? In virtù di cosa, della nazionalità della redazione, della lingua di redazione, della percentuale di italiani che lo leggono? Chi si iscrive, al ROC: il soggetto, o il prodotto? E chi ha un blog su Blogger, Splinder o Il Cannocchiale, che fa? Iscrive un prodotto che non è collocato su un dominio proprietario?

Poi, che sembra sia un’altra cosa ma fa parte della stessa italica determinazione a lasciare tutto come sta, se non si può peggiorare la situazione: Eluana Englaro è ferma immobile in un letto da quindici anni, e il padre sta cercando di mettere fine alla sua sofferenza. In Italia non esiste alcuna legge che regoli il testamento biologico o l’eutanasia: né un malato né i suoi parenti possono decidere quando e se interrompere i trattamenti sanitari, né come porre fine a un’esistenza che è ormai puro dolore. Panico, scendono in campo i vescovi urlando e roteando i turiboli, non s’ha da fare! Autodeterminazione, giammai! Dio dà e Dio prende! E nel frattempo, i singoli medici si regolano alla chetichella, staccano respiratori, iniettano dosi di sedativi, oppure lasciano lì a marcire esseri umani che non potranno mai più – mai più – godere della vita, nemmeno nelle sue manifestazioni più piccole, nel movimento di una mano, nella luce di un tramonto. Mai più.

La solita manifestazione dell’ipocrisia cattolica, che pretende il silenzio della legge su qualcosa che sta già accadendo, ma che per ora è lasciato al caso. A Dio, dicono loro. A me, che sono una che se sta ferma più di un’ora nella stessa posizione comincio ad avere gli attacchi d’ansia, non credo piacerebbe essere immobilizzata in un letto con un tubo in gola e uno in pancia. Neanche se in realtà sentissi tutto quello che mi viene detto. Vorrei essere liberata, o spenta, non so come sarebbe: ma di sicuro non vorrei sopravvivere in quel modo. E tuttavia, in assenza di una legge specifica, questo post non avrebbe alcun valore ai fini di determinare il mio destino in caso di incidente o malattia. Non lo avrebbe nemmeno un documento depositato dal notaio: semplicemente, in Italia, non si ritiene che le persone possano disporre di se stesse, o possano delegare altri a farlo. Ci pensa Dio, e in base a questa logica, una legge non serve. Perché Dio sa cos’è meglio. Se non è teocrazia, questa.

E per finire: Italia.it. Perfino Francesco “Visit àur vìlagis” Rutelli si è rotto le palle. Lo vuole chiudere. Ah bene, diciamo noi: che circondati da techies come siamo avremmo potuto progettare un sito infinitamente migliore, a costo infinitamente più basso. Ma il governo, come da tradizione italiana, preferisce buttare piuttosto che migliorare: meglio spedire un po’ di soldi nel cesso che mettercene qualche migliaio in più e fare su un sito che effettivamente serva. Con una community, uno straccio di usabilità, qualche funzione duepuntozero: qualcosa che somigli alla casa di un popolo vivo e attivo, piuttosto che alla vetrina di un paese da cartolina senz’anima. Che magari è quello che siamo, ormai, ma vogliamo proprio farne così grande pubblicità in giro?

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