Il mio grosso grasso volo greco
pubblicato da Giulia martedì, Febbraio 20, 2007 16:58Metti un pomeriggio di febbraio a caso all’aeroporto “Marco Polo” di Venezia. Un pomeriggio in cui gli addetti alla sicurezza decidono di entrare in sciopero, e la coda per passare i controlli parte dall’ingresso e riempie tutta la hall delle partenze. Ecco, ieri era quel pomeriggio di febbraio; e nella coda ci sono io.
L’aeroporto è fitto di turisti venuti per il Carnevale, alcuni ancora in costume. Un pittoresco signore si aggira con un tricorno ornato di lunghe piume cangianti, che gli conferiscono un aspetto vagamente tacchinesco. Un altro, strilla al check-in che lui è “A citizen of the European Union!” Viene prontamente ribattezzato “Il Cittadino Europeo”, e condotto a spasso di banco in banco e di ufficio in ufficio. Frotte di signore greche rimbalzano di check-in in check-in, cercando di capire come fare ad imbarcarsi in tempo sul volo per Atene, sbraitando ed agitando le braccia. Non sono le sole ad essere nervose: dalla folla ammucchiata in attesa di passare per i metal detector, costretta ad estrarre PC dalle borse, sfilare cinture e togliere scarpe per evitare che il maledetto affare suoni, si levano ondate di fischi e cori di “buffoni” all’indirizzo della dirigenza dell’aeroporto. Il tabellone delle partenze, nel frattempo, lampeggia psichedelici ammonimenti di imbarco in corso, ultima chiamata e sciopero tout court, e l’intercom dell’aeroporto ripete richiami disperati e a stento udibili: “Tutti i passeggeri del volo per Roma sono pregati di presentarsi all’uscita 14 per imbarco immediato.”
Avendo fatto il check-in tre minuti dopo l’apertura, so che sto guidando la carica dei passeggeri diretti verso l’Urbe. A meno che non decidano di partire senza di noi – tutti – dovranno aspettarci. E infatti ci aspettano, anche se hanno riempito il volo con la gente che avanzava da quello precedente. Seduta nella fila accanto alla mia, una signora greca che per civetteria non porta gli occhiali digita faticosamente con l’indice sul telefonino, senza accorgersi che non ha tolto il codice di sblocco della tastiera. E’ carica di borse, affannata per lo scalo obbligato a Roma con coincidenza per Atene, preoccupata all’idea di perdere la coincidenza, le valigie e anche la testa. Continua a cercare di parlare con le compagne di viaggio sedute poche file più avanti, ripetendo “Dove siete? Dove siete?” nel cellulare.
Alle 20.40, finalmente, riusciamo a decollare.
Venezia dall’alto in una notte serena è quanto di più bello si possa immaginare. Una pozza di luci scintillanti che si scioglie nel reticolato sottile delle strade che portano fuori dalla laguna. Sono belle, le città dall’alto di notte, sormontate da una luna elegantissima, appena un falcetto con una stella accanto, sospesa poco sopra l’orizzonte. Guardo fuori, e quasi mi passa la stanchezza. Mi risveglia un odore insolito, eppure familiare.
“Ma la sento solo io, la puzza di fumo?”
Adesso la sentono in tanti. Non vedendo subbuglio nelle file davanti, tutti si girano istintivamente verso la coda: arrivano di corsa gli assistenti di volo, bussano alla porta del bagno.
Una delle greche si era chiusa dentro per fumarsi una sigaretta, rischiando di far saltare tutti in aria. Segue cazziatone gigantesco degli assistenti di volo, tutti tranne quello che è distratto dai dettagli biografici dalla biondina graziosa seduta nella fila dietro la mia.
A terra, la navetta ci parte sotto al naso, stracolma di passeggeri. Ne dobbiamo aspettare un’altra. L’assistente di volo ne approfitta per marpionare ulteriormente la biondina. Anche il bagaglio si fa aspettare: il rullo dei bagagli si è rotto. La mia valigia staziona per dieci minuti sul nastro trasportatore in alto, prima che io, spazientita e stanca, mi ci arrampichi per recuperarla.
Sono le dieci di sera. Dovevo essere a casa alle otto.
A Tiburtina cedo, e salgo su un taxi.
Piove.