pubblicato da Giulia mercoledì, Settembre 10, 2003 9:04
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Da Tango!, 1996

Morirò senza saper ballare il tango. Basterebbero poche lezioni e un partner, ma proprio sul secondo particolare sono fregata in partenza. Perché anche per il mambo, la salsa, il merengue, il cha-cha-cha, il (continua a piacere) bastano poche lezioni e un partner: è il tipo di partner che è diverso. Quelli te li puoi imparare, a mio avviso, con un qualunque compagno di scuola volenteroso. Ridere e pestarsi i piedi a vicenda è permesso. Ma per il tango serve qualcuno che ti guardi ferocemente negli occhi ad ogni cambio di mano, che sia preciso, elegante e deciso nei movimenti, e che ti sappia reggere nel casqué (si scriverà così?), ci vuole qualcuno con il fuoco sulla punta delle dita, e mi dispiace, ma un uomo così io non l’ho mai incontrato. E meno che mai mi ha chiesto di ballare il tango con lui.

Non so se mi seguite.

Da Rock’n’roll Kills Me, 1996

Un’auto dopo l’altra, instancabilmente, sull’asfalto liscio dell’autostrada. Mancano attorno ai cinquanta chilometri, ma tutti e cinque dobbiamo fare la pipì, e il concerto delle nostre pance digiune ha da tempo oltrepassato l’ouverture. Non si sentiva più neanche l’autoradio quando Andrea ha detto “beh”, che nel suo scarno linguaggio significa “Ecco un autogrill, se volete ci fermiamo e prendiamo qualcosa.” Tutti e quattro abbiamo fatto sì con la testa, troppo arrochiti per parlare. Andrea ha parcheggiato il furgoncino (che Davide insiste a chiamare, non senza ironia, tour van, come i “veri”) e tutti e cinque siamo sprintati verso i bagni di questo immenso autogrill nel mezzo del niente.

Segue panino scivoloso e carissimo al buffet. Sono le sette di mattina, non c’è un’anima e fa quasi freddo. Giuro che non so dove siamo. Provo a investigare tra i prodotti tipici, e concludo che ci troviamo da qualche parte in Toscana, di preciso non saprei. (Odio gli autogrill proprio per questo. Potremmo essere indifferentemente a Pistoia come a Firenze, a Siena, a Pisa o a Monculi di Sopra. No Man’s Land.)

“Dove siamo?”

Nessuno mi risponde.

Esco (devo sapere dove siamo) e vado ad appiccicare il naso contro una cartina stradale della Toscana, incorniciata ed appesa all’entrata dell’autogrill. Ho talmente tanto sonno che non riesco a leggere, ma credo di capire che abbiamo appena superato indenni il tratto Roncobilaccio – Barberino del Mugello. Sospiro di sollievo. Avete mai fatto caso a quanti incidenti succedono nel tratto Roncobilaccio – Barberino del Mugello? Ascoltate un qualunque bollettino autostradale se volete la conferma. Il Triangolo delle Bermuda è Pordenone al confronto.

Da Cuore di cioccolato, 2003 (mai finito, non credo lo finirò, ma ha delle parti interessanti)

L’episodio risale a poco tempo dopo che ci siamo incontrati al concerto degli Strokes. La settimana dopo, dopo una serie di terrificanti interviste a una serie di terrificanti starlette della musica italiana, ci siamo dati appuntamento per un aperitivo in Corso Genova. Io avevo occhiaie a falce di luna e un tic nervoso sotto l’occhio destro. Neanche Ishmael era al massimo della sua forma. A parte uno sfogo allergico in fronte, aveva un livido sotto l’occhio sinistro.

“Cos’è? Hai fatto a botte?”

“No. Sono andato al concerto dei Verdena e mi è volato un ragazzino di sedici anni in faccia. Si è fatto più male lui.”

“Che cosa c’è? Hai l’aria sbattuta.”

“Mia madre” ha sospirato. “Ha accettato di andare a uno dei programmi della De Filippi, e sta rompendo le palle a me e a mio fratello perché accettiamo un confronto televisivo. Non se ne parla, ovviamente. Poi mio fratello sta di nuovo male. Non riesce a riprendersi dalla rottura con Greta.”

“Come lo capisco.”

“Tu come stai?”

“Ho voglia di suicidarmi.”

“Niente di nuovo, allora.”

“No, tutto normale.”

“Alberto?”

“Sta ancora raccattando le sue cose. Dicono che lo si vede in giro con gran succhiotti sul collo.”

“Dicono chi?”

“Gli amici comuni.”

“Cazzo di amici hai, scusa?”

“Me lo chiedo anche io.”

“La gente non è tutta così, sai.”

Mi veniva da piangere. Fra le interviste (“No, sai, perché un artista… un artista ha bisogno del suo spazio… in questo disco ho voluto inserire un senso di spazio, di aria… per fare questo, siamo andati un mese su un’isola al largo della Corsica…” ma vaffanculo, pensavo io, un mese in Corsica e il meglio che ti è venuto fuori è ‘sta merda?), Alberto, la solitudine e gli amici stronzi, mi sentivo piuttosto stanca.

“Vorrei una bella vacanzona lunga da me stessa” ho bisbigliato, cercando di sorridere.

Ishmael mi ha sorriso. “Non sarà per sempre.”

“Non c’è niente che sia per sempre” ho risposto. “Purtroppo, nemmeno questa Piñacolada” ho aggiunto, agitando il bicchiere vuoto.

“Ancora?”

“Ma sì, affoghiamo i dispiaceri nell’alcool.”

Era un mercoledì, e il bar era quasi vuoto. Quando Ishmael è tornato con i due bicchieri, il barista aveva messo su un album che conoscevo.

“Ascolta” ho detto, fermandomi con un salatino a due centimetri dalla bocca.

“I Gin Blossoms” ha detto Ishmael.

Found Out About You. Quanto ci ho pianto, su questa canzone.”

Ha riso. “Ti fai prendere troppo dalla musica. A volte ho l’impressione che tu la usi come uno stimolante emotivo. Gioia, tristezza, malinconia, amore, tutto in pillole, non più di tre minuti per volta.”

Ho chiuso gli occhi e appoggiato il viso a una mano. “Ascolta. Ascolta.”

Siamo rimasti ad ascoltare la musica che veniva dagli amplificatori, io con gli occhi chiusi, e Ishmael davanti a me, in silenzio, che tratteneva il respiro.

Ho riaperto gli occhi e ho sorriso.

“Non so di cosa parli” ho detto “la musica capita. Qualcuno la scrive e io la ascolto. A volte ci sono canzoni che ti prendono di più. Questa mi ricorda amori infelici ed estati in cui ero più giovane di adesso, e gli amori infelici non erano poi tutta questa tragedia.”

Ishmael ha alzato il bicchiere. “A un resto della vita migliore dell’inizio.”

Ho annuito, pensando che anche così non era tanto male.

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