Stasi
La stasi non è produttiva ai fini di un post, per cui sarete abbondantemente perdonati se non avrete niente da dire al riguardo. Sono le nove e ventitrè. Sono in ufficio. Fuori fa freddo. No, non freddo, fresco, ci sono diciotto gradi: dieci gradi in meno rispetto alla settimana scorsa. È buio per via del cielo coperto. È martedì, per cui c’è quasi tutta una settimana lavorativa da attraversare, trascinandomi a passo del giaguaro in un prodotto per assicuratori, fino al venerdì sera alle sei, alla libera uscita e allo ShagooShagoo Fest di Osoppo, al quale si presenzierà in una combinazione non ancora definita (Sara e io, molto probabilmente; e poi forse gli altri, non si sa).
Da un weekend all’altro, muoio e resuscito. Defungo all’incirca alle undici di sera della domenica, salvo impegni estemporanei; e risorgo quando l’orologio sul mio monitor passa dallle 17.59 alle 18.00. Allora raccatto le mie cose, casco, chiavi, guanti e giubbotto se è inverno, adios hermanos y hermanas, infilo la tromba delle scale e scappo respirando grandi boccate d’aria inquinata.
Libera.
Dal venerdì sera alla domenica è tutta un’ottimizzazione del weekend. Fare più cose possibile, vedere più gente possibile, restare sveglia più a lungo possibile e dormire il minimo consentito per non collassare. Fino alle undici di sera della domenica.
Repeat.
Credo, fortemente credo che sia ora di cambiare qualcosa.