“Basta chiedere”
pubblicato da Giulia giovedì, Settembre 9, 2004 8:59Ricordate l’articolo di Filippo Facci con cui ero molto ma molto d’accordo? Sì? No? Vabbè. Comunque. Stamattina apro la posta e trovo una mail, il cui oggetto dà il titolo a questo post.
La mail viene da Filippo Facci (o da qualcuno che ne ha l’indirizzo di posta, je ne sais pas, ma in ogni caso).
E contiene l’articolo.
Che ora copioeincollo per la gioia, si spera, dei presenti.
(La fonte, vi ricordo anche per evitare di trovarmi l’ufficio legale della Rusconi Hachette sul coppino, è Donna di luglio/agosto).
Sei corsa a questa rubrica? Sei venuta subito a vederla? Ti sei disposta
come per osservare una liturgia? Sei dal parrucchiere? Dal dentista? Ti
tolgono un molare? Sei in tram? Da un’amica? Al mare? Pensi che sia
completamente impazzito? Pensi che non sappia più che cosa scrivere, che
faccia il brillantoide? Tu non sai niente: se abbia impiegato tre secondi a
scrivere queste righe oppure tre settimane, se stia soffrendo oppure sia qui
a sganasciarmi con amici – così, per dimostrare che ormai posso scrivere
qualsiasi cosa, che tanto mi pagano lo stesso e non sai neanche se a
scrivere sia io. Già, ma poi straclassico – io chi? Risposta: quello che
firma, quello che ritieni di aver vagamente percepito attraverso una foto
infedele e attraverso una scrittura che scorra come un discorso non
interrotto: ma insisto, tu non percepisci niente. Potrei scriverti con in
mano il cuore ma nondimeno altri organi, scrivere male sbaliando lo
itagliano, oppure scrivere bene / scrivere in rima / quel che sovviene / è
che resti cretina, insomma: io posso inventare una paccata di cazzate oppure
attenermi a un criterio rigorosamente autobiografico, storie che forse sono
tutte vere e grondanti lacrime e mattoni e calcinacci la costruzione di
un’amore – oppure no, forse sono un falso totale, io sono uno spanditore di
sofismo e manierismo, un rètore, uno che giocando di dialettica e
schematismi è in grado di sostenere ogni tesi e quindi amare oppure odiare
lo stesso archetipo femminile, gli stessi comportamenti, giungere a opposte
conclusioni partendo dagli stessi indizi, prenderti sempre e
spettacolarmente per il culo anche ora: e tu stai leggendo, ci stai
cascando, fèrmati oppure essere uno che in questa pagina lancia davvero un
mascheratissimo grido d’amore, e forse è per questo che stai leggendo ancora
e che sei corsa a questa rubrica: perché in qualche misteriosa maniera tu
avverti la mia sincerità la quale – chissà come – filtra, buca la pagina, e
mi senti vero, resti inchiodata alle mie parole – ti avevo detto: fermati,
guarda che ci stai cascando, ti sta solamente portando in fondo all’articolo
– e però la cosa più probabile, dicevo, è che io e te sappiamo esattamente
zero dell’altro. Senza rimedio. Pensaci un attimo, realizza che lo stesso
tizio che stai leggendo (sono io, ciao) nella pagina dopo risponde pure a
delle lettere, fa il consigliere, e appunto risponde valuta, pondera,
stronca, sfotte, comprende, fraintende, censura, giudica, ecco, giudica e
tutto sulla base di niente, di vaghe impressioni, di felicità scrittòria o
meno, onestà o meno di chi scrive e di chi risponde, niente, nulla, aria. Ma
non si può scrivere d’amore. Scrivere (leggere) bene che vada è cibo per
l’intelligenza, e però l’intelligenza non è cibo per l’amore, perché
l’amore non ha nulla a che vedere col pensare e cogitare. Se è l’amore che
cerchi e che cerchiamo, allora guardaci: siano dei falliti. Io a scriverne e
tu a leggerne. Ti faccio un esempio. Ieri ho pianto. Ho pianto perché mi
sono accorto che una donna stava soffrendo per me, perché non la amo, e ho
pianto perché mi sono accorto che c’è un’altra donna che invece amo, ma che
non ama me. Ed è finita, basta, stop, non c’è altro da dire, da scrivere, da
leggere. Ecco, per esempio,: ma sarà vera questa cosa? Avrò pianto? Ho
scritto il vero? In ogni caso è desolante. Lo sarebbe se fossi ridotto a
questo per intrappolarti nella lettura, lo sarebbe se fossi ridotto a
mettere in pubblico gli stracazzi miei. Qual è la verità? Non lo saprai mai.
Forse neanch’io. Intanto è finita la pagina ti ha rigirato come ha voluto,
sei proprio cretina e hai sottratto altro tempo, altro non-tempo,
all’amore che forse cerchi. Fìdati, so io chi sono, so quanto sono sincero,
quanto ho effettivamente da consigliare a chicchessia. E oggi, davvero, non
ho fegato per consigliare nulla a nessuno. Fidati: io e te – io che scrivo
e tu che leggi – non siamo mai stati così soli. Forse. Anzi sì. Anzi no.
Anzi dipende.