Milano e

pubblicato da Giulia sabato, Marzo 22, 2008 11:03
Aggiunto alla categoria Sono fatti miei
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“Andare a Milano” fa inevitabilmente rima con “sentirsi strano”, anche se io essendo io dovrebbe essere “Milana” e “strana”, poi vabbè, il concetto si è capito. A Milano io ci vado quasi esclusivamente per lavoro, rafforzando quindi l’associazione fra il concetto di “Milano” e quello di “capitale economica”, e non morale come vorrebbero farci credere quelli della Lega. Non c’è niente di intrinsecamente morale nel modo in cui a Milano la gente vive il lavoro, anche se a Milano sembra esserci molta più gente che il proprio lavoro lo ama, e proprio per farlo si è trasferita in una città di rara bruttezza. Il fatto che Milano continui a ad essere considerata la capitale del design e ad essere associata alla bellezza e allo stile è qualcosa di cui non mi capacito. Saranno le modelle, una specie umana che solo a Milano esiste allo stato brado: se ne possono osservare diversi esemplari nel metrò (non metro, che è quella di Roma) e anche nella zona di via Solari, dove mi rifugio abitualmente nelle mie sortite meneghine.

C’è stato un tempo in cui Milano mi faceva malissimo all’umore. Ora non è più così, e i motivi sono diversi. Si tratta principalmente di un fattore umano: si sono moltiplicate le persone che a Milano mi fa piacere vedere (e come al solito sono colpevole di omissione nei confronti di alcuni: Barbara perdonami, hai il diritto di percuotermi con un sandalo tacco dodici), e alcune di queste sono diventate parte del fattore lavoro, il che è bellissimo davvero. Milano, da quando la frequento con una certa assiduità, è diventata un posto dove mi piace andare. Non più una “funzione”, come dice Laura (la più milanese delle mie conoscenze milanesi, e insieme la meno milanese) ma una città che giro, esploro, dove mi sposto, a volte facendo errori marchiani – perché non sapevo che per arrivare alla Bovisa si prende il passante da Cadorna, piuttosto che il tram numero 3, che è l’equivalente del 19 a Roma per lunghezza e panoramicità? – e a volte, semplicemente, spalancando gli occhi per mangiarmi tutto. Come del resto faccio ancora a Roma, che in tre anni non ho certo finito di conoscere.

Anche questa volta ho lavorato, parlato, mangiato, rinunciato a fare l’aperitivo in un posto pieno di gente vestita in modo balordo e dieci anni più giovane di me (in questo supportata dall’adorata Bea); ho conosciuto Vanessa; e mi sono quasi soffocata dalle risate per farmi fotografare così.

Torno presto.

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