La forma e il contenuto

pubblicato da Giulia martedì, Gennaio 29, 2008 17:34
Aggiunto alla categoria Bric à brac
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Ieri sera ho capito una cosa importante. L’ho capita per caso, parlando con una persona che non avevo mai incontrato prima, una studentessa di moda. Le stavo spiegando che di moda, io, non ho mai capito niente: e che solo di recente, grazie alla lettura di blog che ne parlano, sto cominciando a capire chi è chi, quali sono gli oggetti di culto, e perché. Sempre mantenendo un sereno distacco dalla “follia della donna”, che devo dire, mi colpisce in misura nettamente minore rispetto alle mie coetanee. Insomma, possiedo delle scarpe, ma in quantità modica. Le cambio quando si rompono. Non sento il bisogno di una Birkin. Anzi, fino a un annetto fa non sapevo proprio cosa fosse, una Birkin. Vabbè, ma questo di me è arcinoto.

Insomma, stavamo parlando di moda, e creatività, e stilisti interessanti: e siccome eravamo dentro a un locale con dei computer accessibili, mi ha mostrato la gallery di una collezione recente di Alexander McQueen, stilista che conosco di nome ma che, come tutti gli stilisti (a parte Vivienne Westwood, perché vorrei possedere anche solo un grammo del suo spirito) , mi è completamente indifferente. Sfogliando le immagini, io dico quello che dico sempre: “Certo, se pesi più di venticinque grammi una cosa così ti fa sembrare un bidone per il riciclo della carta.”
“Non devi pensare a come ti starebbero addosso. E’ logico che non te le metteresti mai, queste cose. Non le troveresti nemmeno in vendita. Ma… guarda questo.” Mi mostra una specie di burqa-armatura anatomico color terra di Siena, una roba che sta fra Hannibal Lecter e la vergine di Norimberga. “Di che materiale è fatto? Che idea è? E’ questo il genio. Farsi venire un’idea che nessuno ha mai avuto prima.”
“Questo invece mi piace, me lo metterei” faccio io, mostrandole un abitino di lana color pervinca.
“Sì, ma vedi: quando una cosa te la metteresti, vuol dire che è già visto. Dov’è la creatività? Dov’è il guizzo?”
Lì ho capito finalmente una cosa che avrei dovuto capire anche prima, ma che per qualche motivo mi era sempre sembrata più simile alla teoria del complotto che alla realtà. E cioè che tutto questo gran parlare di stilisti, moda, modelle e anoressia non ha alcun senso, perché uno stilista non fa i vestiti per vestire. L’alta moda, in particolare, non è minimamente pensata per un corpo, ma piuttosto per una gruccia, meglio se semovente: l’alta moda è pensata e basta, e le modelle che ci entrano non sono esseri umani, ma semplici appendini. Veicoli, se si vuole, di una creazione che non è concepita come abito, ma come opera d’arte e d’ingegno.

Chi non lavora nel mondo della moda ma ne è semplice fruitore, questa cosa non la può capire. Chi guarda una sfilata e pensa alla portabilità della creazione, compie l’errore di pensare che lo stilista stia cercando di fare vestiti, e non di vincere una gara di estro internazionale. E chi pensa che gli stilisti cerchino di imporre un ideale di bellezza femminile sono doppiamente fuori strada. I modelli effettivamente pensati per essere indossati sono pochissimi: chiedete a Diane Von Furstenberg, che da non si sa quanti anni lotta invano per difendere la proprietà intellettuale del wrap dress, quell’idea geniale che sta bene praticamente a tutte e non è invecchiato di un giorno da quando lei lo ha disegnato per la prima volta.

Siamo noi che sbagliamo, quando facciamo riferimento alle modelle come ideale estetico: perché le modelle non esistono. Sono tali proprio in virtù del loro essere meno corpo possibile. Noi, che un corpo ce l’abbiamo, non siamo tenute a farlo scomparire per far risaltare meglio un abito. E quando la Cancellieri va in onda con il suo solito servizio di spiega su come gli stilisti “vedono la donna della stagione [inserisci anno]”, abbiamo tutto il diritto di ridere. Uno stilista non vede altro che stoffa, bottoni, materiali e forme astratte. Chi vuole entrare nel suo sogno deve necessariamente rasentare l’irrilevanza.

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