Mater dolorosa [ahimè, non fiction]

pubblicato da Giulia lunedì, Dicembre 24, 2007 13:24
Aggiunto alla categoria Sono fatti miei
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La nuova frase preferita di mia sorella è “Tu non puoi capire”.

Da un mese prima di partorire vive a casa dei miei, nonostante il fatto che abbia una casa sua e sia in maternità dal secondo mese di gravidanza. Da quando il ragazzino è nato, non deve fare nient’altro che allattarlo, cambiarlo, coccolarlo e dormire nei ritagli di tempo fra una poppata e l’altra: Leonardo è sano, cresce più del doppio dei bambini normali, è bianco e rosso come una bandiera, vivissimo, segue i rumori, se messo a pancia sotto si solleva con la testa e le braccia, e ama sentire la gente che canta. Ha gradito molto la prima strofa di Here Comes Your Man, qualche giorno fa: se mi impegno, forse posso salvarlo dal suo destino di musica anni ’60 italiana e ABBA a tutte l’ore. Sta benissimo, insomma. E anche mia sorella, sotto ogni punto di vista, è nelle condizioni perfette per rilassarsi e godersi la maternità. Non deve cucinare, pulire, men che mai lavorare o anche solo preoccuparsi di doverlo fare.
Ma no. Non sia mai.

Essendo che “Io non posso capire” (ed evidentemente nessun altro oltre lei: nemmeno sua madre, che ne ha fatte due delle quali una inappetente, frignona e gracile e l’altra cagionevole e affetta da una quantità di malattie congenite, eppure è sopravvissuta e noi con lei) non sono nella posizione di dirle che il ragazzino non morirà se esce dieci minuti a prendere aria, nella carrozzina, avvolto nella copertina, col cappellino, la trapunta e la capote alzata. Infatti non è morto: ma a sentire lei, quei dieci minuti di aria gli avrebbero COME MINIMO bloccato la digestione. In tutto questo, mio nipote dormiva come un sasso. Dubito che si sia anche solo accorto di aver varcato la soglia di casa.

Sempre per la serie “Tu non puoi capire”, oggi ha deciso che mia madre DEVE prendere ferie. “Perché metti il lavoro prima di tuo nipote”, ha detto, con aria sprezzante. “Tanto valeva che me ne rimanessi a casa mia.”
Io: “Guarda che è tuo figlio” e pensavo: ma porcaputtana, non devi fare altro che dargli da mangiare a ore regolari, per il resto puoi guardare Amici, Uomini e donne e Forum quanto cazzo ti pare. Il bambino è il ritratto della salute. Tuo marito è una specie di santo che ti accudisce giorno e notte, uscendo di casa solo se strettissimamente necessario. Da nove mesi non hai altra occupazione che la tua pancia e relativo contenuto, né altro argomento. Considerato che fare un ragazzino non è ancora obbligatorio per legge, il minimo sarebbe ringraziare ed evitare di rompere eccessivamente le palle.
Ma no. “Tu non puoi capire! Vedrai quando ti ci troverai!”
Segue rissa. Nella quale la sua argomentazione è sempre quella: “Tu non puoi capire”. La maternità forse no, vero. Ma che ti stai allargando lo capisco benissimo.

Ora, io non so quando e se mi ci troverò, a fare un ragazzino. Nè che reazione avrò alla sua nascita. Quello che so è che, come moltissime mie amiche, non avrò madri o suocere in casa a farmi da colf per mesi. (Né le voglio, beninteso: incidentalmente, è anche per questo che ho contribuito a mettere su Sorelle d’Italia.) Probabilmente (quasi sicuramente) non potrò smettere di lavorare per più di paio di mesi, poi, aléhop, di nuovo alla tastiera. Mica perché io sono un’eroina (non lo sono, tutt’altro): semplicemente perché non ho il privilegio di abdicare alla mia vita, né intendo farlo. Del resto, non credo che la maternità mi eleverebbe a uno status di superiorità rispetto al resto del mondo, né che mi porrebbe in condizioni di costante emergenza, al punto di pretendere che tutte le persone intorno a me mollino qualsiasi cosa stiano facendo per assistermi. In altre parole, chi fa un figlio – per giunta sano, vivo e ciccione – dovrebbe farsene carico. Accettare l’aiuto, certo. Ma non pretenderlo. Né mettere su elaborate pantomime allo scopo di attirare l’attenzione e costruirsi il ruolo di Brava Mamma, o puntare sul senso di colpa per scaricare il senso di responsabilità. L’hai fatto. E’ tuo. Organizzati di conseguenza.

Ma no, non sia mai. Questa sera si recita a soggetto.

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