Abbiamo detto.
pubblicato da Giulia sabato, Marzo 10, 2007 22:29Non siamo sicuramente cinquantamila. Ventimila sì; ma dall’angolo di Piazza Farnese dove siamo Michela, Paolo e io, il posto non sembra gremito. Dall’altro lato, in compenso, non ci si muove; e c’è gente fino a Campo de’ Fiori. Per cui forse sì, ventimila, anche qualcosa di più.
Le bandiere dell’Arcigay e dell’Arcilesbica, di Famiglie Arcobaleno e dei Radicali sono le più visibili. Qualche bandiera di Rifondazione, parecchie No Vat. La piazza appare piena di colori, ma i manifestanti sono sobri. Pochi travestimenti, nessuna esibizione di pudenda, nel complesso meno “carnevale” di qualsiasi manifestazione sindacale o politica. Salta però all’occhio, in maniera assolutamente eclatante, a chi puntano gli organizzatori, per chi parlano: e sono praticamente solo gli omosessuali. Anche se le coppie etero non mancano, e anche i single. (E non manca neanche Enrico Lucci, con telecamera e tecnica del suono al seguito, per cui guardate Le Iene, lunedì.) La polarizzazione è una sola. Tra di noi, parlottando, ci rendiamo conto di come i famosi “casi limite” ci siano vicini. Di come tutti conosciamo almeno una famiglia “atipica”, che siano coppie di separati o famiglie di parenti conviventi, zii che hanno allevato nipoti, gente che di una tutela codificata e non impugnabile avrebbe bisogno eccome. Ma qui, almeno finché ci siamo noi, di queste persone non si parla: è la comunità gay a dominare la scena, in un pacato anticipo di Pride. Intendiamoci: gli insulti e le bordate sono state tante e tali, impunite e anzi difese perché tanto con dei froci si può dire di tutto e poi invocare la “libertà di parola”, che l’alzata di testa collettiva ci sta eccome. Ma i Dico non sono una legge per gay: sono una legge per tutti. Dove sono, anche nelle parole di chi arringa la folla dal palco, tutti gli altri?
(E c’è una cosa, della comunità omosessuale, che stride: il fatto che, per essere considerati uguali a tutti gli altri, debbano o forse vogliano identificarsi come “altri”, distinti e diversi. Come nei manifesti che pubblicizzavano un corteo, in occasione dell’otto marzo, di “Donne e lesbiche”. Non sapevo che ci fosse differenza fra le due cose. Io, personalmente, non l’ho mai percepita.)
I discorsi si susseguono, ma da dove mi trovo è difficile capire chi stia parlando. Qualcuno elenca una lista di pregiudizi nei confronti degli omosessuali: che sono pedofili, che sono promiscui e instabili negli affetti (grazie tante, verrebbe da dire: se l’impegno reciproco è dichiarato solo entro le mura domestiche, se manca il contrappeso sociale, quanto è più facile dirsi che di doman non v’è certezza? Ma non è vero, e moltissime sono le coppie gay longeve e in salute), e altre e varie assurdità . Ma è tutto un predicare ai convertiti: un predicare che conforta, sì, che fortifica nell’unione, ma non raggiunge il resto del mondo, quello eterosessuale, quello che vede gli omosessuali come un errore, una devianza, un “disordine oggettivo”.
“Disordine oggettivo? Ma ci rendiamo conto? Tu dici a milioni di persone che la loro stessa essenza è un ‘disordine oggettivo’. Come fai a parlare con le persone, se le squalifichi in questo modo?” dice Michela, scuotendo la testa, davanti a un cappuccino. Michela è cattolica, un dato che non mi è nuovo perché lei ne ha sempre parlato apertamente, ma come molti cattolici si trova in una posizione critica. Sono curiosa della sua opinione, e anche, non lo nascondo, sollevata da quello che mi sento dire. “Dio non fa errori.” Ma ha già scavalcato la barriera fra l’idea che l’omosessualità sia un comportamento scelto e volutamente “deviante” da una norma accettata e condivisa, e il fatto incontrovertibile che non si sceglie di essere omosessuali, eterosessuali, bisessuali o transgender. Lo si accetta, oppure no. “Ma ti rendi conto che c’è gente che gli omosessuali li vuole curare?” Eh, sì. Purtroppo sì.
Torniamo in piazza giusto in tempo per partecipare, con le suonerie dei cellulari, al momento simbolico del trillo delle sveglie, quello in cui si cerca di svegliare gente già sveglissima, che per essere a Roma ha affittato pullman e preso treni, si è mossa a sue spese per venire a gridare in piazza che è ora di finirla di trattare i diritti come se fossero favori. Che l’amore non ha sesso, ed è sempre quello, affettuoso o litigarello, tenero o passionale o tutte queste cose, ma è proprio uguale. E che tutte le persone che vivono insieme, etero e gay, libere o separate, possono un giorno desiderare di dichiararsi unite davanti alla società intera.
Fa freddo, tira un vento basso e insistente. Decidiamo di abbandonare la piazza, anche se la manifestazione è ancora in corso. Ci separiamo, inseguiti dagli echi dei discorsi. Non sappiamo se siano arrivati anche a chi non c’era, o se chi non c’era sia davvero disposto ad ascoltare.
(Qui c’è il giudizio di Michela, molto più duro e sintetico del mio, sulla manifestazione e altro.)