pubblicato da Giulia martedì, Settembre 2, 2003 21:13
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Nelle vene ho acido per batterie

Ho notato che fra le blogger della “scena” o periferiche ad essa (Aiki e Gaia in testa) va molto di moda sfottere gli “emo boys”. Avessi capito cosa cazzo sia l’emo e soprattutto in cosa consista un emo boy, potrei dirvi magari il perché di tanto accanimento. Potrei fare delle ipotesi empiriche, anzi, mi sa che l’ipotesi empirica è tutto quello che abbiamo, fratelli e sorelle, perché

(non posso credere che Radio 105 suoni ancora quella canzone degli Eiffel 65, anche se chiamarla canzone mi sembra esagerato)

alla fine, tra il fatto che non distinguo i generi musicali e il fatto che guardo le persone non come gruppo ma come individui, mi risulta difficile dirvi se fra quelli che conosco ci siano o meno degli emo boys. In questo caso, posso individuare delle caratteristiche che a occhio e croce potrebbero mandare in bestia le consorelle più ruvide.
L’emo boy parla un sacco di musica. Ne parla e la consuma in maniera compulsiva. A casa deve avere un piatto dello stereo per ascoltarsi i quintali di vinili che colleziona, perché l’emo boy è anche rétro e avverso alla tecnologia, anche se non sempre.
L’avversione alla tecnologia non gli impedisce di spippolare copiosamente su Internet insieme a tutti gli altri emo boys, parlando di gruppi praticamente sconosciuti all’orecchio umano, e spesso anche di gruppi inesistenti, tanto per beffarsi di coloro i quali, per non dimostrare ignoranza, ne tessono lodi sperticate e ne offrono recensioni dettagliate (naturalmente di pura fantasia).

La caratteristica ricorrente non solo dell’emo boy ma anche di una certa frangia hardcore-vegan-straightedge (raga che vita grama: niente alcool, niente carbonara, niente droghe, niente sesso… convertitevi all’Islam, che almeno quella è una religione, e se ci durate andate in paradiso con le Urì) è l’INTRANSIGENZA. BISOGNA conoscere il tal gruppo, se no non si sa niente. BISOGNA astenersi da quanto sopra elencato, se no si è fuori. Giuro che ho letto lunghissime conversazioni sul tema “Il tizio è stato visto mangiare una coscia di pollo”, neanche il tizio avesse condito il pollo con la nitroglicerina e si fosse lanciato contro il Palazzo delle Poste urlando slogan contro la lentezza delle raccomandate con ricevuta di ritorno.

(Toh, i Thrills. E gli Stereophonics.)

Un’altra caratteristica della “scena” è il cinismo senza limiti. Nonostante l’emo, come genere musicale (o almeno così mi sembra di aver capito, dato che i testi delle canzoni non li seguo: troppo rumore sopra, inglese farlocco sotto) si chiami così proprio perché esprime delle emozioni, i rapporti cibernetici fra i membri della scena sono improntati a un sarcasmo estremo. Di recente, un frequentatore di questi giri che conosco da anni mi ha detto che sulle message board ormai va poco. “C’è un’atmosfera brutta. Appena metti un piede fuori dalla riga, ti saltano addosso.” È vero. Impera anche un impulso a fare a pezzi gli “intrusi”, che vengono dapprima ignorati, poi maltrattati, e se dimostrano (in un rituale simile a quello delle space monkeys di Fight Club) di voler davvero restare, allora vengono ammessi. La sincerità è per i polli, i pivelli e le ragazze. Cinismo, pose, ironia e cattiveria are the reason.

Cattiva? Io? Mah. Può essere. Stavo cercando di darmi delle spiegazioni. Magari Aiki ne ha di migliori (non so se mi legga, penso che in questi giorni abbia di meglio da fare), ma se mi leggi, sore’, me lo dici? Mi dici perché odi gli emo boys?

(Uff, ancora Jamiroquai. Adesso basta, mi vesto e vado a lavorare.)

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