Bugiardi bugiardi

pubblicato da Giulia venerdì, Luglio 30, 2004 21:04
Aggiunto alla categoria Sono fatti miei
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“Cazzo, ma sono contromano!” Esclama Ricky, tentando di immettersi con cautela nella corsia giusta, dopo avere imboccato soprappensiero la superstrada slovena nella direzione opposta al senso di marcia.
Il Gorillo, che ha fatto spesa al duty-free e sta appestando la macchina con delle rivoltanti patatine al burro di arachidi gusto pizza, non fa una piega. Io, che ultimamente mi sono convinta di essere Highlander, guadagno giusto un paio di battiti extra.

Il fatto è che sono uscita di casa dopo mesi, e non per prendere un treno. Doveva succedere qualcosa.

Isola (Izola) è appena fuori dal confine, che per la cronaca non è affatto “caduto”: non ci sono più i finanzieri, ma gli accordi di Schengen non sono ancora entrati in vigore, per cui il controllo documenti avviene con le solite procedure.

Il concerto dei Liars è in programma al Belvedere.
“Tu sai dov’è, vero?” Fa Ricky.
Io scoppio a ridere.
“Ma come, è lo stesso posto dove hai visto i Makako Jump l’anno scorso…”
“Non penso proprio, dato che i Makako Jump li ho visti a Bale” che, oltre a non essere Izola, è in Croazia.

Ovviamente, ci perdiamo.

La macchina contenente gli Omini Barbuti e la Giulia individua presto una macchina con targa italiana che si ferma a chiedere istruzioni a ogni passante e compie manovre faticose sull’ingolfatissimo lungomare della cittadina istriana. La Punto verde contiene delle sagome decretate subito “molto indie”. In effetti, trattasi di amici indierocker provenienti da Trieste.

Così anche loro si perdono con noi.

Mentre siamo persi, individuiamo una terza macchina di italiani indierock, e il tutto comincia a somigliare vagamente a quella canzoncina che fa “Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela”, perché subito anche loro si perdono.

Il cartello che indica Belvedere si materializza come non si sa, ed in effetti ci coglie il sospetto di essere andati in una direzione contraria al buon senso. Un posto che si chiama Belvedere dovrà giocoforza trovarsi in alto, e non in riva al mare. Si sale si sale si sale, davanti a un meraviglioso panorama di costa illuminata, per arrivare a un localino con il palco montato all’aperto, birre grandi a 1,5 euro e spillette commemorative del concerto, con logo del gruppo, data e posto.

I Liars sono preceduti da una band locale che è poco definire “scandalosa”. Vorrebbero fare metal. Vorrebbero fare nu metal. Vorrebbero fare crossover. Finisce che fanno schifo. E suonano, suonano, suonano all’infinito. In compenso, siccome è presente in pratica l’intera “scena” emo, hardcore e indierock, l’atmosfera è la solita di tutte le estati. Si chiacchiera, si beve, ci si aggiorna sugli ultimi sviluppi delle rispettive vite, e ci si appunta la spilletta commemorativa.

E finalmente, i Liars sul palco.

Ed è tutto diverso da come ce l’aspettavamo.

La performance è costituita essenzialmente da rumore. Suoni slegati, strumenti torturati, ritmica in stereo fra le due batterie, Angus che ancheggia e ondeggia sul palco. Difficile da seguire, e probabilmente, su uno sfondo diverso da questo pacifico giardinetto sospeso sul mare, con l’odore dell’estate tutto intorno, anche parecchio inquietante. Ci sono delle volte in cui il contesto è tutto.

A loro modo, anche i Liars riescono ad essere glamourous: il batterista indossa un adorabile prendisole di ciniglia rosa (nella foto, purtroppo, si vede poco), e Angus sembra essere cresciuto dentro i suoi stessi vestiti: la felpa secondo me apparteneva a Karen O e i pantaloni si fermano dieci centimetri sopra le caviglie, scoprendo i calzini (uno bianco e uno nero) e un paio di scarpine da ginnastica col Velcro, di quelle che ti comprano quando sei piccolo e non te le sai allacciare.

Non suonano Mr Your On Fire Mr. A posteriori, ci rendiamo conto che con i pezzi di We Fenced Other Gardens With The Bones Of Our Own non c’entrava niente. There’s Always Room On the Broom, suonata come penultimo bis, copre in parte la mancanza della disco frantumata del singolo più celebre. L’impressione finale è molto più vicina a “questo lo suonavo anche io” che a “qual mirabile opera di art rock concettuale”.

Finale (al telefono con Roseto degli Abruzzi, ieri sera):
“Angus ti manda le sue scuse per il rumore.”
“Eh?”
“Sì, gli ho detto che eri lì. Dice che gli dispiace di averti spaventata.”

Che pensiero gentile.

Aggiornamento: le foto sono qui!

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