E’ solo un po’ di me che se ne va

pubblicato da Giulia mercoledì, Aprile 12, 2006 16:32
Aggiunto alla categoria Sono fatti miei

Ieri sera, a dieci anni di distanza dal loro primo concerto visto all’Hip Hop di Trieste (tragica discopizzeria con acustica straziante e finestrone sulla pista dell’ippodromo), sono andata a rivedere gli Afterhours.

Il mio rapporto con questo gruppo è fondato su un equivoco che chiamerò l’Equivoco della Saint-Honoré. Mi spiego meglio. Il giorno del mio primo compleanno, i miei genitori comprarono una torta Saint-Honoré, torta gelato ai gusti panna e cioccolato, con bignè. (Io compio gli anni in novembre. Torta gelato. Vabbè.) Devo averla mangiata, sebbene io non ne serbi memoria. Da allora, e per i sedici anni successivi, la mia torta di compleanno fu la Saint-Honoré.
Il problema è che a me, la Saint-Honoré, non piaceva. O comunque: non così tanto.

Quasi un anno fa, ebbi a dire in due puntate consecutive della trasmissione, che gli Afterhours erano, secondo me, uno dei gruppi più rappresentativi del rock italiano. Affermazione accolta con un certo stupore dai miei colleghi, che dei suddetti non avevano mai sentito parlare in vita loro. (Luana: “Ma si era detto italiani!” Io: “Lulù, sono di Milano.”)
Detto fatto, si sparge la voce che gli Afterhours sono il mio gruppo preferito.
Il fatto è che io non possiedo nemmeno un loro disco.

Vabbè.

Insomma, ieri vado a vederli suonare in una delle tre date consecutive fissate al Circolo degli Artisti, tutte già sold out. Fuori, non c’è un parcheggio neanche a pagarlo. Dentro, c’è un clima tropicale e un’atmosfera da Stadio Olimpico. La gente urla anche per i roadie.
Gli Afterhours sono nel mezzo di un tour mica facile. Portano in giro per l’Italia non già la versione italiana del loro disco, ma quella inglese. A ogni tappa (inclusa quella romana) la gente canta in italiano e protesta. Questo nonostante il fatto che le canzoni in inglese siano qualcosa come cinque o sei su, boh, dodici, tredici, quindici, non le ho contate. Al massimo la metà. E dal vivo suonino benissimo, meglio che su disco, che uno potrebbe anche mettere da parte il vaschismo e ascoltare, invece che cantare a squarciagola; e poi magari sfogarsi sui classici, che sono tanti e ben distribuiti, presi un po’ per album, e i presenti li conoscono tutti.
Che ci vuole.

Il concerto è stato bello, anche se venivo da una giornata sfiancante che il mio corpo avrebbe preferito concludere appallottolato sotto il piumone in compagnia di un libro. Manuel e soci hanno dato il meglio, Enrico “Magic Show” Gabrielli ha suonato l’equivalente della London Symphonietta in termini di numero di strumenti, a volte anche più di uno per volta, la gggente ha avuto quello che voleva. E dopo diciassette anni, chissà che non mi venga di nuovo voglia di Saint-Honoré.

Commenti e ping chiusi.

5 commenti to “E’ solo un po’ di me che se ne va”

  1. folletta says:

    Aprile 12th, 2006 at 5:41

    Ma come sold out? I biglietti non li vendono la sera alle 20? Cavoli io voglio andarci domani..non darmi brutte notizie!!

  2. Disorder says:

    Aprile 12th, 2006 at 8:21

    Non sono tra i tuoi gruppi preferiti, non conosci tutte le canzoni, non eri in vena di concerti: visto che ti sono piaciuti, si conferma quindi che Agnelli & soci sono in gran forma in questo tour… Un mio amico li ha disprezzati per anni, dopo averli sentiti dal vivo è diventato un loro fan sfegatato 🙂

  3. Daniele says:

    Aprile 13th, 2006 at 11:03

    Il Circolo degli Artisti presenta spesso e volentieri deliziosi gruppi da saint-honoré: il problema è che la degustazione non è mai troppo agevole.

    Aftehours? Direi proprio che sono come una torta di compleanno: non la compri tu, la mangi emozionata, mai per golosità, la scelgono gli altri per te.

  4. dea says:

    Aprile 15th, 2006 at 1:00

    Allora ti avevo riconosciuto, eri tu quella poco dietro di me! Io ero quella con la maglia rossa e il codino svolazzante, ma forse neanche mi hai vista.
    Comunque fa piacere leggere un commento “esterno” (non da fan, insomma) sugli After e rendersi conto che è avvertita anche da qualcun altro la sensazione che il solito pubblicuccio italiano stia dando il peggio di sé, come quasi sempre, del resto.
    Il secondo giorno (io ho seguito tutte e tre le date) Agnelli è stato costretto a interrompere There’s many ways (versione inglese di Ci sono molti modi), perché completamente sovrastato dal pubblico, che aveva alzato un coro che non ho mai sentito neanche ai tempi in cui andavo allo stadio.
    Dentro di me ho sperato che se ne andasse e lasciasse quella manica di stronzi a bocca asciutta, ma invece no, Manuel ha tenuto duro, e prendendo per il culo la platea inconsapevole, ha attaccato con una cattivissima Rapace, dicendo “ecco, questa è in italiano”.
    Uno spettacolo penoso. Non gli Afterhours, ovviamente.
    A presto.

  5. kAy says:

    Aprile 18th, 2006 at 5:45

    Enrico Gabrielli è spettacolare, oltre che con gli After, raggiunge l’apice del suo potenziale con Morgan, dove arriva a suonare qualcosa come 15 strumenti diversi in un concerto, di cui sei tutti in una canzone.