Emo(h)

pubblicato da Giulia martedì, Maggio 10, 2005 12:56
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Lou Barlow ha quarant’anni. Portati non malissimo (i capelli li ha ancora tutti, i lineamenti sono un pochino appesantiti ma quelli di sempre, la panza si mantiene su livelli contenuti). Però sempre quaranta sono. Di cui più di venti passati su un palco con una chitarra in mano. Al Circolo degli Artisti va sul palco dopo Theniro, uno che si potrebbe riassumere con il commento lanciatogli dal pubblico: “Non esiste solo Jeff Buckley!” (“Eh, è vero. Esisto anche io” risponde lui, in uno slancio di modestia.)

Insomma, Lou Barlow sale con due chitarre acustiche e un Moog, solo soletto con la sua maglietta nera d’annata, e comincia a cantare. Un po’ sono canzoni dell’ultimo album, Emoh, e un po’ sono pezzi vecchi. Il Circolo non è pieno, la gente chiacchiera, e lui suona e canta con una voce meravigliosa. La gente chiacchiera. Lui suona. A metà di un pezzo mette giù la chitarra e dice “Non sto suonando bene, eh? Mi dispiace. Funziona così: quando io non suono bene, la gente chiacchiera. Se suono bene, tutti stanno zitti, e poi mi chiedono le canzoni. E io le suono.”

Da quel punto in poi, il concerto diventa interattivo. Il pubblico grida i titoli, e lui li suona. Come un busker alla stazione Tiburtina. Fa anche Natural One, che a dirla tutta non viene troppo bene senza il tappeto di suoni e la ritmica soffice della registrazione originale, ma si apprezza la buona volontà (“Uhm, non suonavo io la chitarra su questo pezzo” fa lui, a metà canzone, incartandosi sull’arpeggio). Dopo un po’ di tentativi, nel bis, riesco anche a farmi suonare Pearl. Gli applausi sono più forti per le canzoni dei Sebadoh e dei Folk Implosion, e lui non la prende tanto bene: “Questo disco non vi piace proprio, eh? A Rimini è piaciuto. A voi no.”

Il bis dura un po’, più che altro perché il pubblico non ha capito una cosa: che se vogliono il disco (dieci euro) o la maglietta (quindici) devono andare direttamente da Lou. Dei tre banchetti in sala (incluso quello della rivista indierock più sputtanata da chi ci vorrebbe scrivere) non ce n’è uno che venda la roba sua. A fine concerto, il signor Sebadoh-Sentridoh-Folk Implosion posa la chitarra e comincia a vendere i CD direttamente dal palco, pescando i resti dalle tasche.

E non ho capito se mi ha fatto più tenerezza, tristezza o allegria. Mi dicono che i musicisti americani lo fanno normalmente, in caso di concerto di piccolo calibro. Penso che gli italiani non lo fanno praticamente mai (c’è quasi sempre una fidanzata disponibile a fare il marketing). Sicuramente c’è un significato, da qualche parte. Ma non so dove.

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