pubblicato da Giulia sabato, Agosto 23, 2003 1:38
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Autoreferenzialità sull’autoreferenzialità

Il mondo del giornalismo si è accorto dell’esistenza del mondo blog. Per “loro”, i professionisti della penna, è stato un po’ come tirare su un sasso e trovarci sotto un sacco di insetti: ma questi sono sempre stati qui? Orrore, compassione, senso di superiorità. Questi blogger incapaci di scrivere. Superficiali. Usano puntini di sospensione e punti esclamativi come segno di originalità. La letteratura è un’altra cosa, il giornalismo è un ‘altra cosa: anatema su di voi, stolti che credete di dare qualcosa al mondo tramite le vostre blogorree.

È comprensibile che chi scrive per campare abbia questa reazione nei confronti di chi scrive per puro piacere personale, magari fregandosene anche dell’esattezza, dell’accuratezza, dell’etica e dell’ortografia (ah, il proliferar di “k” al posto del “ch”, i “nn” e i “cmq”, che fanno esclamare “ma ‘ndo vai? C’hai un appuntamento fra tre minuti, che risparmi sulle vocali e sulle consonanti? Oppure hai paura che se non ti sbrighi la frase ti scappi di testa?”). Nessuno paga un blogger per scrivere, non ci sono capo-redattori, niente limite di battute, nessuna pressione politica, e soprattutto nessun obbligo di informare la gente. I pezzi non vengono tagliati. Durano come i combattimenti di Fight Club, “finché devono” (a volte anche un po’ di più, ma è prerogativa del blogger blaterare quanto gli pare, come del lettore non leggerlo più).

La prova ultima del fatto che non si possa generalizzare sta forse nel fatto che sul Barbiere della Sera, il sito “dei giornalisti per i giornalisti”, il fenomeno blog non solo è stato più o meno accettato, ma in alcuni casi addirittura promosso, con un’assenza di spocchia che fa onore a Figaro, alla Ragazza del Bar e a tutti i colleghi della barberia: devo a loro la scoperta di Selvaggia Lucarelli, che giornalista non è, ma umorista di classe sì. Il Barbiere ha compreso il senso ultimo del blog, vale a dire la sua assoluta indipendenza. Il blog è gratis. Non è sponsorizzato se non da chi lo cura, ci scrive, lo personalizza, lo fa crescere. Il blog è soggetto a una selezione naturale: se risulta interessante, viene visitato da chi lo ritiene tale, e la popolarità cresce tramite passaparola. Se invece è più autoreferenziale, un blog-cameretta, rimane magari ristretto alla cerchia dei visitatori abituali, gli amici o le persone che appartengono alle stessa comunità, come succede qui su Splinder. Può essere una cosa fra me e me, una cosa fra me e una certa fetta di visitatori, una cosa fra me e il mondo intero, a seconda di quanto il blogger decide di ampliare il raggio delle sue considerazioni, universalizzandole o mantenendole criptiche. Può essere un diario privato (la grande maggioranza), il diario illustrato di una persona o di un personaggio (La Maury, Coniglio Cattivo), un diario di gruppo (HeartfeltDiary), un blog di opinione a tema (Gnu Economy), ma rimane comunque una faccenda non istituzionale. In soldoni: il soldo non c’entra.

Ognuno ha i suoi motivi. Il mio personale è un po’ sentimentale, un po’ strutturale. Una volta avevo un amico che faceva il giornalista. Era bravissimo, scriveva meravigliosamente ed era un conversatore favoloso. (Presumo lo sia ancora, ma concedetemi l’imperfetto, dovuto ai casi della vita.) Io all’epoca scrivevo per un giornale online. Tra noi era tutto un ping pong di lunghissime mail fitte di considerazioni, riflessioni, punti interrogativi, pettegolezzi e confidenze. Un duello a colpi di sintassi, figure retoriche e audaci giri di frase, in cui riversavo buona parte della mia ansia logorroica. La fine della nostra corrispondenza e del mio impiego al giornale (quattro mesi senza stipendio hanno avuto la meglio sul mio amore per il giornalismo online) mi hanno portata a cercare un nuovo canale per il desiderio di raccontare il mondo intorno a me. C’è a chi piace. C’è a chi no. Ma questo non è Repubblica o Il Corriere della Sera: è il mio soggiorno. Chiunque è libero di venire a prenderci il caffè, se vuole, e di invitarmi nel suo. Le invettive dei giornalisti spocchiosi hanno lo stesso senso che avrebbe venire in casa mia e criticarmi l’arredamento. OK, ho capito, è approssimativo, c’è un sacco di disordine e non è molto ergonomico. Ma ci devo vivere io, e a chi ci viene non dà fastidio. Non pagano per risiederci, dopotutto: non è un servizio, non è un bed & breakfast, e tantomeno un albergo di lusso.

Comunque, fra un anno la moda sarà passata, metà dei blog chiuderanno per affaticamento o carenza di tempo degli autori, e passa tutta la paura. Professionisti della penna, rilassatevi pure.

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