pubblicato da Giulia mercoledì, Agosto 6, 2003 21:07
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Sono in credito di sonno. Sotto gli occhi ho due belle mezzelune violaceee, regalo dell’ennesima notte “corta”. Questa volta, il motivo è migliore degli altri: sono andata a a vedere La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, parte prima. Uno di quei film che mi ricordano i mille motivi per cui continuo a preferire il buon cinema italiano al buon cinema di qualsiasi altro paese.

Quale sia stata l’odissea di questo film si sa, e non ve lo ripeto qui (se non lo sapete, leggetevi l’articolo uscito in proposito su Clarence). Più che altro perché sono le otto meno un quarto. 

Alcune cose da sapere: ogni parte del film dura tre ore, per cui non stupitevi se il vicino di poltrona si appisola (Elisa, la sorella di Sara, si è svegliata quando io ho esclamato “Emilio Fede!” sentendo la voce del suddetto in un Tg d’epoca). La trama, per sommi capi: il film segue le vicende di due fratelli, Matteo e Nicola, dall’estate del 1966 in cui cercano di salvare una giovane malata di mente da un istituto, fino ai giorni nostri. (Io sono arrivata al 1980, che è l’anno in cui si conclude la prima parte; ma stasera mi vedo la seconda, tanto per assicurarmi di crollare svenuta in ufficio venerdì mattina.)

Un film vero, nella ricostruzione delle atmosfere di un’epoca. Io ho ricordi netti dal 1977 in poi, ma coincidono perfettamente: gli anni di piombo emergono nelle vite quotidiane delle persone, influenzandone i piccoli gesti, sia tra i militanti di sinistra che fra chi ha scelto altre strade. I dialoghi e la recitazione sono naturali, scorrevoli, gli attori ripetono le cose, si scontrano fra loro come succede nella vita. I personaggi non restano obbligatoriamente sulla scena tutto il tempo, entrano ed escono in momenti imprevedibili, crescono e si evolvono.

Gli attori: ditemi, vi prego, che Luigi Lo Cascio nella vita è un buono. Uno con due occhi così non può essere cattivo per mancanza strutturale, e la regia del film, pensata per la televisione, abbonda di primi piani. Il film gioca di contrasti: lo sguardo di Nicola (Lo Cascio), quello implacabile di suo fratello Matteo (Alessio Boni) e la fragile insolenza della compagna di Nicola, Giulia (Sonia Bergamasco, che mi ricorda nettamente un’Annapaola bionda: le stesse espressioni di sfida e di attesa di non si sa bene cosa).

Un film a volte un po’ didascalico (il manifestino con le Kessler… lo striscione che inneggia a Burgnich… le pubblicità della Lavazza…) e a volte quasi comico nel presentare la retorica di un’epoca (“Il bisogno di comunismo”). Stasera mi vedo la seconda parte e poi vi so dire: ma se è come la prima, andateci. È un ordine.

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