In der posto
pubblicato da Giulia lunedì, Settembre 20, 2004 13:22Parlare della Notte Bianca come di qualsiasi altro evento non è proprio possibile. È un avvenimento che guadagna in surrealismo man mano che la serata procede, e diventa notte vera e propria. L’unico effetto del tempo sulla gente che gira per strada è il ringiovanimento: più ci si avvicina all’alba, più sono giovani quelli che camminano per le strade, salgono e scendono le scalinate, caracollano sui tacchi (perché, perché mettersi i tacchi per la Notte Bianca? I miei piedi, dentro le Adidas più comode del mondo, dolevano come dopo una gita al Calvario), bevono, stanno seduti a terra ad ascoltare musica jazz, e soprattutto cercano di tenere gli occhi aperti per arrivare all’alba.
La Notte Bianca è un evento che richiede uno sforzo organizzativo pauroso. In tutta Roma, anche nei quartieri popolari, è quasi tutto aperto. E l’impressione è che siano tutti fuori, sugli autobus, nella metropolitana, in Piazza Repubblica a mangiare il prosciutto, sulla scalinata del Campidoglio per vedere il concerto di Ennio Morricone (non ce l’abbiamo fatta: siamo arrivati troppo tardi, e la massa umana era compatta e fermissima. Però abbiamo visto Lucarelli, e prevedibilmente era più basso di quanto credessimo), dentro i Mercati di Traiano (meraviglia), in Piazza di Spagna per il Cirque du Soleil (non ce l’abbiamo fatta: siamo arrivati troppo tardi, e la massa umana era compatta e fermissima. Però abbiamo visto Ugo Pagliai e Paola Gassman, e ascoltato circa duecento volte il theme song del circo stesso, che faceva più o meno “Cumpra la pecura, cumpra la pecura, Mara Venier”).
Il tentativo di tutti era quello di riuscire ad entrare “in der posto“, non importa quale, bastava che fosse un posto. Ragion per cui, visto che di tutto il gruppo con cui mi muovevo ero l’unica a non avere niente a che vedere con il cinema, siamo andati all’inaugurazione della Casa del Cinema a Villa Borghese. Dove ho schiacciato il primo pisolo della serata, mentre mandavano un filmato dell’Istituto Luce composto interamente da footage di gente morta, da Mastroianni a Fellini a Troisi. Indi poscia mi sono svegliata per vedere, inspiegabilmente, il numero finale di Chicago. Poi abbiamo capito che era stato messo per mostrare la putenz’ del nuovo proiettore digitale. Era quasi meglio non entrarci, in der posto. Però almeno ho fatto un sonnellino.
A proposito di putenz’, non so perché, ma non siamo andati a vedere la rassegna di spezzoni comici di Abatantuono e compagni a Villa Borghese, e già che c’eravamo si sarebbe potuto fare. Dalla terrazza del Pincio, Roma appariva fosca e umida, cosa non strana visto il diluvio sceso nel pomeriggio. Lì ho cominciato a cedere, ma Roma no, Roma era ancora tutta piena di gente che camminava. Erano tutti per strada, come dopo un disastro naturale, come all’annuncio della fine del mondo.
Non ce l’abbiamo fatta a vedere l’alba, o meglio, io non ce l’ho fatta. Doveva essere arrivato il momento in cui la mia fascia d’età veniva eliminata dallo scenario. Allo scoccare delle 24 ore di veglia sono entrata in regime di risparmio di energie, tipo quando il PC sta per spegnersi e fa “blip, blip, blip”, o sul display del discman compare il simboletto della batteria. Muovere i muscoli (qualsiasi muscolo) era diventata un’impresa, per cui parlavo e sorridevo il minimo. Ho capito che non si trattava solo di doppiare la boa della stanchezza quando qualcuno ha lanciato l’idea di andare al Circolo degli Artisti. Per la prima volta in vita mia, alla proposta di andare a ballare ho risposto “Sì, io vengo ma mi siedo da qualche parte.”
Ultima passeggiata, fino a Termini. Conversazione surreale sulla pittura.
Autobus.
Casa.