Autocritica maoista
pubblicato da Giulia domenica, Aprile 20, 2008 13:20La sinistra ha perso. Ha perso clamorosamente, e ha perso al punto di vedersi ridotta all’irrilevanza. Non può essere un caso, né una questione di rincoglionimento a livello nazionale. I voti, come si diceva in precedenza, sono stati dati con una certa determinazione feroce, pro Berlusconi/Lega o contro Berlusconi, che non significa a favore di qualcos’altro, tranne che nel caso di pochi ultras del PD. A questo punto, urge – anzi no, è assolutamente necessaria – una disamina critica dei difetti e degli errori compiuti dalla sinistra, estrema e non, negli ultimi quindici anni della sua esistenza.
Questo è un post lungo. Potrebbe essere più lungo, ma cercherò di essere sintetica.
Assenza di idee unitarie
Se c’è una cosa che, in Forza Italia ma soprattutto nella Lega, si è delineato in maniera chiarissima, è l’idea di fondo: fare in modo che ognuno si metta in tasca più soldi possibile di quelli che guadagna ogni mese. Lasciamo perdere, per ora, la discussione giusto-sbagliato: è la chiarezza dell’idea che conta. Gli italiani sono cattolici di fondo, amano le affermazioni categoriche. Forza Italia e la Lega hanno detto agli italiani: faremo di voi gente più prospera. Diminuiremo le tasse, faremo in modo che ognuno possa disporre di quello che guadagna, a livello individuale e di micro-comunità. Quello che viene guadagnato dai veneti resta ai veneti, quello che viene guadagnato dai milanesi resta ai milanesi. Questo è chiarissimo. Giusto, sbagliato, non fa niente, si capisce molto bene. I soldi li capiscono tutti.
La sinistra cosa vuole?
Non si sa. No alla guerra, poi vota la guerra in Parlamento. La classe operaia che non si capisce quale sia. No alle tasse. Sì alle tasse. Le donne sì, ma con moderazione. La Chiesa no ma anche sì. Immigrati sì perché sono una risorsa, immigrati no perché lavano i vetri ai semafori e infastidiscono la gente. Politiche di integrazione sì per evitare che si formino ghetti e società parallele, politiche di integrazione no perché l’assimilazione forzata è da fascisti. Crocifissi sì crocifissi no crocifissi forse. Solidarietà al Tibet, alla Birmania, alle donne dell’Afghanistan, alle indiane che muoiono in “incidenti di cucina”, alla Palestina, a tutti meno che al vicino di casa che non sa come tirare la fine del mese, ma vota La Destra e quindi deve morire.
La sinistra degli ultimi quindici anni è stata la sinistra del “vediamo”. Spaventata davanti alla prospettiva di dire poche cose chiare, illustrandone i vantaggi e le metodologie, e adoperandosi per costruire un modo più sostenibile.
Troppe parole
Mettiamo a confronto un manifesto di estrema sinistra con un manifesto di estrema destra. Un manifesto di estrema sinistra conterrà quasi sicuramente un pamphlet di duecento righe, scritto in caratteri piccoli, su un argomento o l’altro, che nessuno leggerà tranne i militanti del centro sociale che lo hanno steso, in spregio alle più elementari regole della comunicazione.
Il manifesto di estrema destra conterrà tre frasi categoriche, un simbolo, forse un’immagine vagamente minacciosa tipo gente in orbace. Fine. Lo leggi tutto anche passandoci davanti con l’autobus. Poi magari dice delle cose aberranti, ma intanto te le ha dette. Il manifesto di estrema sinistra affatica perfino a guardarlo, e a leggerlo non è che poi uno si senta meglio.
L’estrema sinistra ha questa capacità di dire cose magari condivisibili in un modo che fa girare i coglioni perfino a chi le condivide.
Per esempio, io condivido l’idea di ridurre il servilismo dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti. Mi pare una cosa elementare, che ogni paese civile si riserva di mettere in atto. La Francia, la Spagna, la Germania decidono di volta in volta se aderire a un’iniziativa americana. L’Italia no, l’Italia si comporta sempre come il più magrolino della classe, quello con l’apparecchio ai denti che farebbe di tutto pur di compiacere il bulletto della scuola, solo perché il bulletto in questione una volta lo ha difeso contro altri bulletti che gli volevano rubare la merenda.
Io questa cosa la condivido, ma non ne posso più della retorica a base di “anti-imperialismo”, “boicottaggio dello sfruttatore” (i.e. non andare da McDonald’s) e avantipopolismo da quattro soldi. Come non ne posso più, e dico veramente essendo parte in causa, del vocabolario utilizzato dal femminismo di sinistra, con tutti quegli asterischi al posto dei maschili nelle parole e la distinzione fra “donne” e “lesbiche”, che ripeto, l’ultima volta che ci ho guardato le due cose coincidevano.
Troppe parole, quasi tutte roboanti e a cazzo, per nascondere una tragica incapacità di concepire un’alternativa pratica. Uno stile di vita che possa rendere felice più gente possibile.
Felicità
Guardate che non è una cosa da poco, questa della felicità. La destra di Berlusconi è celebrativa, ballerina, billionaira, AEIOU-Ypsilon! La Lega di Bossi è ringhiosa ma ha messo su Miss Padania. Non sto dicendo che la sinistra dovrebbe organizzare concorsi di bellezza e aprire discoteche. Sto dicendo che c’è della gioia nel progetto sociale della sinistra, e invece quello che emerge, da tipo vent’anni a questa parte, è solo la rabbia e la sofferenza per la continuata presenza degli altri.
Da quando c’è Berlusconi, la cultura di sinistra si è ridotta a un costante ululato a basso wattaggio, tipo prefiche con le pile scariche. Anche la satira di sinistra è triste, quando la satira di destra (vale a dire il Bagaglino) magari non fa ridere, ma neanche piangere quando ci ripensi dopo.
La destra ha una visione ottimista del mondo. L’ottimismo del cretino, si può dire, perché basato sull’idea di vivere già nel migliore dei mondi possibili. La sinistra, invece, dovrebbe tendere al miglioramento, al sol dell’avvenir: si impantana invece in diatribe di massima sugli errori e le mancanze del mondo in cui vive, che a parole vorrebbe rivoluzionare, e nei fatti lascia come sta, perché a certe comodità abbiamo fatto l’abitudine.
Dice giustamente Jacopo Fo (che mi trova spesso d’accordo, anche se il suo fricchettonismo è comprensibile ai più quanto i manifesti verbosi attaccati nelle pensiline dei tram) che il mugugno ormai l’abbiamo perfezionato. E’ ora di cominciare a proporre concretamente soluzioni ai problemi del paese dove viviamo. Gruppi d’acquisto di pannelli fotovoltaici, spesa collettiva, car sharing, pressioni sulle comunità locali perché passino alle fonti di energia rinnovabile. Cose concrete, appunto. Cose che danno gioia, rendono l’aria più respirabile, riuniscono le persone.
L’erba del terzo mondo è sempre più verde
In Iran si sta male. Anche in Iraq, in Palestina, in Pakistan, in Colombia se sei un bambino reclutato a forza nelle Farc, o in Afghanistan se sei una donna, o nello Yemen idem. Si sta male in un sacco di posti di cui è giusto occuparsi, perché se la peculiarità della destra è di dare l’illusione che il mondo finisca con il soggiorno di casa tua, il compito della sinistra è quello di ricordare che siamo tutti collegati, e che la libera circolazione delle idee e dei popoli rende il mondo un posto tendenzialmente migliore. E tuttavia, il terzomondismo della sinistra italiana è diventato progressivamente più balordo man mano che la situazione del paese diventava ingestibile. A sentire quelli dei centri sociali, sembra che siamo più collegati con il terzo mondo che con il nostro vicino di pianerottolo: in pratica, ora siamo il terzo mondo (date un’occhiata alle statistiche sulla libertà di stampa, o sull’occupazione femminile, o sull’analfabetismo), e ancora i centrosocialini organizzano manifestazioni in favore del Chiapas in cui fanno suonare agghiaccianti gruppi reggae o ska. Il Chiapas. Va bene. Ma di Termini Imerese ne vogliamo parlare? No, perché a furia di parlare del Chiapas, quelli di Termini Imerese hanno votato a destra. Cioè hanno votato quelli che in teoria rappresentano i loro padroni. No, complimenti, davvero.
Riprendersi il concetto di “libertà”
Facciamoci caso, per favore. La libertà è storicamente una cosa di sinistra. La destra non si è mai occupata di libertà. Di ordine, disciplina, tradizione, Dio, patria, famiglia, valori, quello che vuoi, ma non di libertà. La visione del mondo da destra non è libertaria, e infatti le leggi promulgate dalla destra propriamente detta durante il quinquennio di governo Berlusconi (la legge Fini sulle droghe, la Bossi-Fini sull’immigrazione, la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita) sono profondamente antilibertarie. Entrano nel privato dei cittadini pretendendo di regolarlo, impongono una visione rigida dell’assetto sociale e hanno provocato, dati alla mano, più danni che vantaggi. La legge sulle droghe è praticamente inapplicabile e largamente inapplicata; la Bossi-Fini sull’immigrazione ha aumentato il flusso dei clandestini e creato una sotto-classe di schiavi disperati nel sud dell’Italia, dove la manodopera clandestina è utilizzata abitualmente nel settore agricolo; la legge 40 ha semplicemente spinto le donne italiane all’estero, perché la fecondazione assistita in Italia è attualmente pericolosa per la salute.
La sinistra italiana ha avuto paura ad opporsi costruttivamente ai concetti che fanno da sostrato a questi provvedimenti, pronunciandosi senza ambiguità in materia di diritti umani, salute, dignità e libertà personale. Si è opposta in maniera generale, dicendo “No no no” come una Amy Winehouse qualunque, ma da lì ad essere chiari ce ne passa.
Alla fine, insomma
Abbiamo sbagliato. Abbiamo voluto essere tutto per tutti e abbiamo finito per non essere nulla per nessuno. Ci sono mancate la progettualità, la capacità di gestirci, di formare un pensiero coerente, di tagliare la fuffa e la chiacchiera, di agire organicamente e in maniera efficace per il bene di tutti, di far capire che essere di sinistra non significa volere un mondo triste in cui tutti sono livellati, un mondo senza creatività dove il singolo è destinato a morire. Essere di sinistra significa essere individui in una comunità più grande, significa desiderare che tutti abbiano la possibilità di vivere dignitosamente, anche gli anziani, i malati, i poveri, le persone sole. Significa non giudicare o discriminare in base alla razza, o alla provenienza geografica, o alla preferenza sessuale. Significa lavorare per costruire un mondo in cui mettere al mondo un figlio, studiare, trovare lavoro e mantenerlo non siano più un’impresa per pochi valorosi o privilegiati. Significa credere nel valore dell’istruzione e della fantasia. Significa riconoscere ad ogni credo il giusto valore nel privato delle persone, ma governare il paese secondo principi laici in cui ognuno possa scegliere come comportarsi secondo coscienza.
Questo, ci è mancato. Da qui, bisogna ripartire.
» Liberi tutti says:
Aprile 27th, 2008 at 3:17
[…] Questo post segue da questo. […]